Cuba

Una identità in movimento

Se Cuba sbaglia

Redazione "Liberazione"


Su quanto è accaduto in questo mese di aprile a Cuba — condanne brutali agli oppositori politici, processi sommari e, soprattutto, la fucilazione "seduta stante" di tre giovani fuggiaschi — è scoppiato, anche nelle nostre fila, un dibattito fervido e appassionato. Logico che questo accada. Logico che a sinistra — ma non solo — si esprimano, insieme alle critiche e alle riserve, un tormento vero, un'inquietudine, un'ansia non celata. Cuba non è solo un luogo mitico dell'immaginario rivoluzionario: è un concreto punto di riferimento per tutti coloro che non si rassegnano alla legge della prepotenza imperiale e che credono alla capacità delle donne e degli uomini in carne ed ossa di costruirsi il proprio destino. Cuba non è un astratto modello, ma una sfida vivente alle "ferree leggi" dei rapporti di forza: le sue contraddizioni, i suoi successi, le sue sconfitte, i suoi rischi di fallimento sono parte integrante del nostro destino. De te fabula narratur, dicevamo ieri e torniamo a ripetere oggi.

Noi siamo amici di Cuba, fieri e orgogliosi di esserlo. Proprio per questo, non possiamo giustificare in alcun modo la selvaggia ondata di repressioni in corso. Proprio perché crediamo nella rivoluzione cubana, non possiamo accettare una così cruda violazione dei diritti essenziali della democrazia e delle regole della giustizia. Proprio perché sappiamo che "la rivoluzione non è un pranzo di gala", non possiamo ammettere che essa abbia tra i suoi esiti scontati l'eliminazione fisica degli oppositori, la carcerazione, l'impossibilità di ogni difesa legale. Anche la vita di chi attivamente cospira per il rovesciamento di uno Stato e di un sistema merita rispetto: da questo principio, nel XXI secolo, non ci si può discostare. La pena di morte, oggi, è barbarie: non è un caso che la sua sistematica applicazione sia una caratteristica peculiare di molti Stati degli Usa, l'iperpotenza imperiale che, dal canto suo, la applica sistematicamente contro interi popoli, con la sua guerra infinita e preventiva. Ma la rivoluzione cubana non è, per sua natura e fini strategici, portatrice di una civiltà superiore, di un'idea di società capace di avere al suo centro il trionfo della vita e delle persone, invece che della morte? E' davvero ancora un "lusso" pensare a un processo di costruzione, pur progressivo, di un sistema di diritti e libertà universali?

Non lo diciamo, certo, per smania di interferenza negli affari interni di un paese sovrano. Sappiamo bene in quali condizioni vivono, da decenni, i cubani e il loro legittimo governo, in quale isolamento siano costantemente ricacciati, a quali privazioni e sacrifici siano stati e siano costretti. E sappiamo anche che oggi il pericolo è cresciuto: dall'amministrazione Bush viene una minaccia grande alla sovranità di Cuba, già classificato come "Stato canaglia", alla sopravvivenza del suo governo, alla sua gente. Ma non ci pare che la repressione indiscriminata oggi, l'eventuale militarizzazione del paese domani, costituiscano una risposta efficace a questo pericolo. Nel corso di questi anni, Cuba ha costruito nel mondo — anche e soprattutto nel mondo occidentale — una rete diffusa di amicizie e di simpatia: è un patrimonio prezioso di solidarietà che non può rischiare di andare disperso. Ed è anche e soprattutto una risorsa di lotta.

Ora, certo, i gazzettieri della "civiltà occidentale" vanno sfruttando, con un tasso di ipocrisia che non esitiamo a definire ignobile, i fatti di Cuba. Orchestrano una campagna mirata, martellante, asfissiante, contro Fidel Castro, il castrismo e perfino contro la storica figura di Ernesto "Che" Guevara. A loro, ai vari opinionisti berlusconiani o "riformisti", ai finti crociati di Stato di Radio radicale, (nonché a tutti coloro che accusano la sinistra alternativa di non esser stata e non esser sufficientemente "critica" sui misfatti del regime cubano) noi diciamo: voi non avete alcun titolo morale e politico per condannare Cuba. Voi usate sempre e solo strumentalmente, farisaicamente, unilateralmente, concetti come "libertà" e "democrazia". Voi che avete difeso tutte le guerre di aggressione americana od occidentale di questo decennio, voi che giustificate in nome degli interessi degli Usa il massacro dei popoli, voi che siete stati e siete i paladini di quelle politiche neoliberiste che affamano metà del mondo, voi non avete alcun diritto di giudicare. Voi state solo preparandovi alla prossima guerra "di prevenzione", contro una piccola isola, e puntate tutto sulla distruzione di un'esperienza che, nelle sue mille contraddizioni, perfino nelle sue ingiustificabili spietatezze, resta straordinaria.

Noi, non voi, siamo legittimati ad esprimere la nostra amarezza e la nostra preoccupazione per il futuro di Cuba e della sua rivoluzione. Noi, che facciamo del rifiuto della guerra e della violenza la ragion d'essere della nostra politica, rivolgiamo ai compagni cubani un appello sincero affinché mutino il corso delle loro scelte e le correggano con la determinazione necessaria. Così come ci rivolgiamo a tutti gli amici di Cuba dell'occidente e dell'oriente: tra le alternative dell'anatema o del "giustificazionismo", si tratta, ancora una volta, di costruire un'altra strada. Quella della ricerca, dell'iniziativa, dell'interlocuzione critica. Quella della politica.

Liberazione


Fonte "Liberazione", giovedì 17 aprile 2003
http://www.liberazione.it/giornale/030417/LB12D680.asp

Liberazione. giornale comunista


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