Cuba

Una identità in movimento


Lettera di José Luiz Del Roio, Presidente del Comitato Italiano Giustizia per i Cinque, a Sua Romana Eminenza, il Cardinale Tarcisio Bertone (20 giugno 2008)

José Luiz Del Roio





Roma, 20 giugno 2008



A Sua Romana Eminenza
Il Cardinale Tarcisio Bertone
Segretario di Stato della Santa Sede
Roma


Come Lei certamente sa, è stato depositato il 4 giugno 2008 il provvedimento della Corte d'Appello di Atlanta sulla vicenda dei Cinque Cubani. Essi furono condannati nel 2001, sostanzialmente per il loro esercizio di funzioni dirette ad evitare il compimento di attentati ed attività di terrorismo da parte di alcuni gruppi di fuoriusciti cubani con base a Miami.

La decisione — nonostante una precedente impugnazione avesse avuto in un primo momento un esito favorevole agli imputati — ha confermato il giudizio di colpevolezza emesso a Miami, nonostante l'assenza totale di prove che gli imputati abbiano offeso la sicurezza degli Stati Uniti.

La natura disumana non solo delle condanne formali, ma anche dei quasi dieci anni di carcere duro già effettivamente scontati dai cinque cubani, ha da anni sensibilizzato numerosissime istituzioni umanitarie, giuridiche e religiose in tutto il mondo, che si sono attivate per cercare di evitare a queste cinque persone ulteriori ed ingiuste sofferenze. In questo momento essi si trovano costretti a subire dure privazioni, per effetto di disegni politici e volontà dei potenti della terra che passano sopra agli esseri umani, e che ignorano fondamentali e universali diritti. Quei diritti e valori sono di tutti noi, e comprimerli a beneficio di interessi certamente meno degni rappresenta l'umiliazione ed il fallimento della nostra civiltà, umana prima ancora che giuridica.

Come giuristi che in tutto il mondo si sono mobilitati a difesa dei diritti civili, umani e fondamentali, affermiamo che queste cinque persone sono divenute prede e strumenti di un ingranaggio perverso, e che le loro condanne sono prive di ogni fondamento giuridico.

Il provvedimento del 4 giugno 2008, che tiene fermo per tutti il giudizio di colpevolezza e che solo per tre di loro prevede una futura rideterminazione delle pene, non è un rimedio neppure parziale all'immensa ingiustizia che è stata commessa nei confronti di questi cinque esseri umani. Le loro esistenze sono state calpestate, le loro giovani famiglie sono state private del loro affetto e della loro attenzione. Ancor oggi questi prigionieri, divisi nei penitenziari di cinque Stati diversi degli Usa, si scontrano con ostacoli inenarrabili persino per ottenere saltuari incontri con i loro giovani figli. Le rare visite sono svolte fra le mura carcerarie, dopo viaggi estenuanti, quando non sono rinviate o ostacolate con crudele vessazione, al punto che alcuni di questi uomini praticamente non hanno quasi mai visto la loro prole.

Per queste ragioni, Eminenza, Le chiediamo un intervento che possa portare a ristabilire la giustizia nella sua vera sostanza, ed a porre un rimedio a gravi sofferenze causate dalla giustizia umana.

Ci permettiamo di rammentarLe che nel lontano 1974, solo grazie alla mediazione del vescovo di Managua, S.R.E. il Cardinale Obando y Bravo (un salesiano, come Lei), fu risolta una grave crisi politica in Nicaragua, un caso in cui fu coinvolta indirettamente anche Cuba. In quella vicenda, un gruppo di somozisti era ostaggio di un gruppo di sandinisti, a sua volta circondato da somozisti, e fu evitato il peggio. Ci permettiamo anche di accennare a quanto accaduto nello stesso anno in Italia nella vicenda del sequestro Sossi, essendo riportato nella memorialistica dell'epoca che quando le Brigate rosse chiesero la liberazione dei componenti del Gruppo XXII Ottobre, vi furono contatti fra l'Ambasciata di Cuba e la Santa Sede, per una soluzione umanitaria. Siamo certi che — pur nelle profonde differenze di contesti e di situazioni generali — Ella coglierà lo spirito di questa nostra memoria di fatti distanti ed eterogenei.

Ci permettiamo soprattutto di citare alcune parole del Santo Padre nel Suo recente discorso all'Assemblea generale dell'Onu del 18 aprile 2008, a proposito del principio della responsabilità di proteggere: "La reconnaissance de l'unité de la famille humaine et l'attention portée à la dignité innée de toute femme et de tout homme reçoivent aujourd'hui un nouvel élan dans le principe de la responsabilité de protéger. Il n'a été défini que récemment, mais il était déjà implicitement présent dès les origines des Nations unies et, actuellement, il caractérise toujours davantage son activité".

Il principio della responsabilità di proteggere, cui il Santo Padre ha dedicato la sua attenzione, è sancito da atti che certo non sono sfuggiti alla sensibilità della Segreteria di Stato. Ci riferiamo al documento del dicembre 2001, The responsibility to protect. Report of the international commission on intervention and state sovereignty. Al documento del 2004, A more secure world: our shared responsibility. Report of the Secretary-General's High-level Panel on Threats, Challenges and Change. Alla risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu del 24 ottobre 2005 (World Summit Outcome). Ed alla risoluzione 1674 del 2006 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

I cinque prigionieri in favore dei quali ci rivolgiamo a Lei, si sono impegnati in attività antiterroristiche per difendere la popolazione di Cuba, cioè hanno applicato — con impegno concreto e professionale — proprio il principio della responsabilità di proteggere che Sua Santità ha voluto autorevolmente apprezzare.

Fiducioso che Ella si spenderà in ogni modo, sulla base di valori che certamente condividiamo in toto, il Comitato si rimette a quanto Lei meglio ravviserà e Le porge rispettosi saluti.


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Webmaster: Carlo NobiliAntropologo americanista, Roma, Italia

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