Cuba

Una identità in movimento

Manifesto di Montecristi

José Martí — Máximo Gómez



La rivoluzione d'indipendenza iniziata a Yara dopo una preparazione gloriosa e cruenta, è entrata a Cuba in un nuovo periodo di guerra in seguito alle disposizioni e alle decisioni del Partito Rivoluzionario all'estero e nell'Isola, e all'unione esemplare in esso di tutti gli elementi votati alla redenzione e all'emancipazione del paese per il bene dell'America e del Mondo; e i rappresentanti eletti della rivoluzione che viene oggi confermata riconoscono e rispettano il loro dovere — senza usurpare né l'accento né le dichiarazioni proprie soltanto della maestà della repubblica costituita — di riaffermare innanzi alla patria (che non deve essere insanguinata senza motivo né senza giustificata speranza di vittoria) i propositi precisi, figli della ragione e alieni dalla vendetta, con cui è stata organizzata e con cui giungerà alla ragionevole vittoria, la guerra inestinguibile che oggi porta tutte le componenti della società cubana a combattere in commovente prudenza e democrazia.

La guerra non è, nella concezione serena di coloro che ancora oggi la rappresentano e della rivoluzione pubblica e responsabile che li ha eletti, il folle trionfo di un partito cubano su un altro, o l'umiliazione di un gruppo di cubani in errore; ma è la dimostrazione solenne della volontà di un paese troppo provato nella guerra precedente per gettarsi con leggerezza in un conflitto che può terminare solo con la vittoria o con il sepolcro, senza motivi abbastanza profondi per superare le vigliaccheria umane e i loro vari mascheramenti, e senza una determinazione così rispettabile — per il fatto di essere firmata con la morte — che deve imporre il silenzio a quei cubani meno fortunati che non si sentono posseduti da uguale fiducia nelle capacità del loro popolo né da un valore uguale col quale emanciparlo dalla sua schiavitù.

La guerra non è il tentativo capriccioso di un'indipendenza più pericolosa che utile, che avrebbero il diritto di ritardare o di condannare solo coloro che manifestassero la capacità e l'intenzione di condurla ad altra più realizzabile e sicura, e che in verità non può essere desiderata da un popolo che non sia in grado di sostenerla; ma il prodotto disciplinato della decisione di uomini integri che nella calma dell'esperienza si sono decisi ad affrontare ancora una volta pericoli a loro ben noti, e dell'unione cordiale dei cubani di più diversa origine, convinti che nella conquista della libertà si acquistano le virtù necessarie per conservarla meglio che nella vile prostrazione.

La guerra non è contro lo spagnolo che, nella garanzia dei suoi figli e nel rispetto per la patria che si conquisteranno, potrà godere, rispettato e persino amato, della libertà che travolgerà soltanto coloro che, temerari, le sbarreranno la strada. Né del disordine, alieno alla provata moderazione dello spirito di Cuba, sarà culla la guerra; né della tirannia. Coloro che l'hanno promossa, e possono ancora levar la loro voce, dichiarano in nome suo e al cospetto della patria la loro purezza da ogni odio — la loro indulgenza fraterna nei confronti dei cubani timidi o in errore, il loro profondo rispetto per la dignità dell'uomo, nerbo della lotta e fondamento della repubblica —, la loro certezza nella possibilità di condurre la guerra in modo che contenga la redenzione che la ispira, il rapporto in cui un popolo deve vivere con gli altri e con la realtà costituita dalla guerra nonché la loro ferma volontà di rispettare, e di far rispettare, lo spagnolo neutrale e onesto durante la guerra e dopo di essa, e che sia pietosa verso il pentimento e inflessibile soltanto verso il vizio, il delitto e la ferocia. Nella guerra che ha ripreso a Cuba la rivoluzione non vede le ragioni di un'esultanza che potrebbe travolgere l'eroismo irriflessivo, ma le responsabilità che devono preoccupare i fondatori di popoli.

Entri Cuba nella guerra con la piena sicurezza, inaccettabile soltanto per i cubani sedentari e faziosi, della capacità dei suoi figli di ottenere la vittoria grazie all'energia di una rivoluzione consapevole e generosa, e grazie alla capacità dei cubani, coltivata nei primi dieci anni di sublime fusione e nelle moderne esperienze del governo e del lavoro, di salvare la patria fin dalla sua radice dai disagi e dai tentativi, necessari all'inizio del secolo, delle repubbliche feudali o teoriche dell'America spagnola prive di contatti e di preparazione, Sarebbe colpevole ignoranza o malafede non riconoscere le cause spesso gloriose, e ormai generalmente riscattate, dei disordini americani, derivati dall'errore di voler adattare a modelli stranieri dai principi incerti o semplicemente legati al loro luogo di origine, la realtà originale di paesi che conoscevano delle libertà solo l'ansia che le conquista e la sovranità che si consegue lottando per essa. La concentrazione della cultura meramente letteraria nelle capitali; l'erroneo attaccamento delle repubbliche ai costumi dei signori della colonia; il formarsi di caudillos in conseguenza del trattamento sospettoso e grossolano delle province lontane; la situazione rudimentale dell'unica attività economica, l'agricoltura o l'allevamento; e l'abbandono e il disprezzo della feconda razza indigena nelle dispute di religione o di luogo che queste cause dei disordini nei popoli d'America alimentavano, non sono in nessun modo i problemi della società cubana. Cuba torna alla guerra con un popolo democratico e colto, gelosamente consapevole dei suoi diritti e dei diritti altrui [...]. Il civismo dei suoi combattenti; la capacità e la cordialità dei suoi artigiani; l'impiego reale e moderno di un gran numero delle sue intelligenze e ricchezze; la caratteristica moderazione del contadino maturato nell'esilio e nella guerra; il contatto intimo e quotidiano e la rapida e inevitabile unificazione delle diverse parti del paese; l'ammirazione reciproca delle virtù comuni tra i cubani che dalle disuguaglianze sono passati alla fratellanza del sacrificio; e l'affabilità e le capacità crescenti dei liberto, superiori agli scarsi esempi di disaffezione o risentimento, assicurano a Cuba, senza arbitrarie illusioni, un avvenire in cui le condizioni di stabilità e del lavoro immediato di un popolo produttivo nella repubblica giusta, supereranno quelle di disgregazione e di parzialità derivanti dalla pigrizia o dall'arroganza che la guerra a volte genera, dal rancore aggressivo di una minoranza di padroni privati dei loro privilegi; dalla fretta riprovevole con la quale una minoranza ancora invisibile di liberti scontenti potrebbe aspirare, violando in maniera funesta la volontà e la natura umane, a quel rispetto sociale che soltanto e sicuramente può venir loro dalla uguaglianza sperimentale nella virtù e nei talenti; e dalla improvvisa privazione, per molti degli abitanti colti delle città, del lusso o della relativa agiatezza che oggi viene loro dai tributi immorali e facili della colonia, e dagli impieghi che dovranno scomparire con la libertà. Un popolo libero, nel lavoro aperto a tutti, situato allo sbocco del mondo ricco e industriale, sostituirà senza ostacoli, e con vantaggio, dopo una guerra ispirata e condotta alla più pura abnegazione, il popolo vergognoso per il quale il benessere si ottiene solo a prezzo della complicità esplicita o tacita con la tirannia degli stranieri cupidi che lo dissanguano e lo corrompono. […] Con il pretesto della prudenza, di un altro timore la viltà vorrebbe forse servirsi oggi: il timore insensato, e mai giustificato a Cuba, della razza negra. La rivoluzione, con il suo carico di martiri e di combattenti disciplinati e generosi, smentisce con indignazione, come lo smentisce la lunga esperienza dell'emigrazione e della tregua nell'isola, il sospetto di una minaccia della razza negra con cui si volesse perfidamente insinuare, da parte di coloro che godono dei benefici del regime spagnolo, la paura della rivoluzione. Ormai a Cuba ci sono cubani di un colore e dell'altro, che hanno dimenticato per sempre — grazie alla guerra liberatrice e al lavoro in cui insieme si formano — l'odio in cui li poté dividere la schiavitù. La novità e l'asprezza dei rapporti sociali, derivati dalla rapida trasformazione dell'uomo asservito in uomo padrone di se stesso, sono meno forti della sincera stima del cubano bianco per l'anima uguale, l'aspirazione alla cultura, il fervore di uomo libero, e il carattere affabile del suo compatriota negro. […]

La rivoluzione lo sa, e lo proclama: l'emigrazione lo proclama anch'essa. In esse il cubano negro non trova scuole d'odio, come non commise nella guerra alcuna colpa di indebito insuperbimento o di insubordinazione. Sulle sue spalle ha camminato sicura la repubblica alla quale non ha attentato mai. Solo coloro che odiano il negro vedono nel negro odio; e coloro che con questa paura ingiustificata vorrebbero trafficare, per fermare, con una deprecabile iniziativa, le mani che potrebbero levarsi per scacciare dalla terra cubana l'occupante corruttore.

La rivoluzione, che non adula e non teme, spera di trovare negli abitanti spagnoli di Cuba, al posto della disonorevole collera della prima guerra, una benevola neutralità o un vero aiuto, grazie ai quali potrà essere la guerra più breve, i suoi disastri minori, e più facile e amichevole la pace in cui devono vivere padri e figli uniti. Noi cubani abbiamo cominciato la guerra, e cubani e spagnoli uniti la concluderemo. Non maltrattino, e non li si maltratterà. All'acciaio risponda l'acciaio, e l'amicizia all'amicizia. Nel petto antillano non c'è odio; e il cubano saluta nella morte lo spagnolo che la crudeltà del servizio obbligatorio ha strappato dalla sua casa e dalla sua terra affinché venisse ad assassinare in petti di uomini la libertà cui egli stesso aspira. Più che salutarlo nella morte, vorrebbe la rivoluzione accoglierlo in vita; e la repubblica sarà un tranquillo focolare per tutti gli spagnoli laboriosi e onesti che potranno godere in essa di quella libertà e di quei beni che non potranno trovare ancora per lungo tempo nella fiacchezza, nell'apatia, e nei vizi politici della loro terra. Questo è il cuore di Cuba, e così sarà la guerra. Quali nemici spagnoli avrà veramente la rivoluzione? L'esercito, in gran parte repubblicano, che ha imparato a rispettare il nostro coraggio, come noi rispettiamo il suo, e che a volte sente più l'impulso di unirsi a noi, che di combatterci? Le reclute, ormai educate agli ideali di umanità, contrarie a versare il sangue dei loro simili a vantaggio di uno scettro inutile o di una patria avida, le reclute falciate nel fiore della loro giovinezza per venire a difendere, contro un popolo che li accoglierebbe con gioia come cittadini liberi, un trono malfermo, una nazione venduta dai suoi dirigenti, complici i loro privilegi e i loro guadagni? La massa, oggi umana ed evoluta, di artigiani e di dipendenti, che l'interesse degli spagnoli facoltosi con il pretesto della patria ha trascinato ieri alla ferocia e al delitto e che oggi, con il grosso delle loro fortune in salvo in Spagna, mostrano un accanimento inferiore a quello con cui insanguinarono la terra dove avevano le loro ricchezze quando la guerra li sorprese con tutti i loro averi? […] Quale destino sceglieranno gli spagnoli: la guerra senza tregua, dichiarata o mascherata, che minaccia e turba i rapporti sempre inquieti e violenti del paese, o la pace definitiva, che a Cuba si raggiungerà solo con l'indipendenza? Inaspriranno e insanguineranno gli spagnoli radicati a Cuba una guerra in cui possono risultare sconfitti? E con che diritto ci odieranno gli spagnoli, se noi cubani non li odiamo? La rivoluzione adotta senza paura questo linguaggio, perché la decisione di liberare una volta per tutte Cuba dall'inettitudine e dalla corruzione irrimediabili della Spagna e di aprirla libera per tutti gli uomini al mondo nuovo, è salda come la volontà di considerare cubani, senza tiepidezza d'animo o ricordi amari, gli spagnoli che per amore della libertà aiuteranno a conquistarla a Cuba, e coloro che con il loro rispetto per la guerra di oggi riscatteranno il sangue che in quella di ieri scorse sotto i loro colpi dal petto dei loro figli. […]

Le difficoltà delle guerre di indipendenza in America, e quelle che le sue prime nazionalità hanno dovuto affrontare, consistettero, più che nella discordia dei loro eroi e nella rivalità e nella gelosia insite nell'uomo, nella mancanza di una forma adeguata che nello stesso tempo riunisca in sé lo spirito di redenzione che, con l'appoggio di impulsi minori, promuove e alimenta la guerra, e le attività necessarie alla guerra e che essa deve svolgere e sostenere. Sin dall'inizio della guerra deve trovarsi il paese forme di governo tali da soddisfare, nello stesso tempo, l'intelligenza matura e accorta dei suoi figli colti e le condizioni richieste per l'aiuto e il rispetto degli altri popoli e permettano — anziché ostacolare il pieno sviluppo e la rapida conclusione della guerra fatalmente necessaria alla felicità pubblica. Fin dalle sue radici la patria deve essere costituita in forme attuabili e scaturite da essa stessa, affinché un governo privo di realtà e di approvazione non la trascini nella parzialità o nella tirannia. […] Conoscere e definire la realtà, comporre in un modello naturale la realtà delle idee che producono o impediscono i fatti e quella dei fatti che nascono dalle idee, organizzare la rivoluzione della dignità, del sacrificio e della cultura in modo tale che non venga offesa la dignità di un solo uomo, né il sacrificio sembri inutile a un solo cubano, né la rivoluzione sembri inferiore a la cultura del paese, non alla cultura esterofila e screditata che si aliena il rispetto degli uomini virili per l'inefficacia dei suoi risultati e il contrasto penoso fra la meschinità reale e l'arroganza dei suoi sterili detentori, ma alla conoscenza profonda della opera dell'uomo nel riscatto e nel sostegno della propria dignità: questi sono i doveri, e gli scopi, della rivoluzione. Essa agirà in modo tale che la guerra potente ed efficace dia presto una sede solida alla nuova repubblica.

La guerra per l'indipendenza di Cuba, nodo del fascio di isole dove dovrà incrociarsi, nel giro di pochi anni, il traffico dei continenti, è un avvenimento di grande portata umana e un servizio opportuno che il saggio eroismo delle Antille presta alla solidità e alle giuste relazioni delle nazioni americane e all'equilibrio ancora instabile del mondo. Onora e commuove pensare che quando cade in terra di Cuba un combattente dell'indipendenza, magari abbandonato dai popoli imprevidenti o indifferenti per i quali si immola, egli cade per il bene superiore dell'uomo, per il consolidamento della repubblica morale in America, e per la creazione di un arcipelago libero in cui le nazioni rispettose riverseranno le ricchezze che al loro passaggio dovranno cadere sul crocevia del mondo. […]

Oggi, nel proclamare dalla soglia della terra venerata lo spirito e le dottrine che hanno prodotto e alimentano la guerra giusta e umanitaria in cui si unisce ancor più il popolo di Cuba, invincibile e indivisibile, ci sia lecito invocare, come guida e sostegno del nostro popolo, i fondatori generosi, la cui opera riprende il paese riconoscente nonché l'onore, che deve impedire ai cubani di ferire, con le parole e con gli atti coloro che muoiono per loro. E nel fare queste dichiarazioni in nome della patria e nel deporre davanti ad essa e davanti alla sua libera facoltà di costituzione l'opera identica di due generazioni, firmano insieme la dichiarazione, per la responsabilità comune della loro rappresentanza e a prova dell'unità e della solidità della rivoluzione cubana, il Delegato del Partito Rivoluzionario Cubano, creato per dirigere e sostenere la guerra attuale, e il Generale in Capo eletto nel Partito da tutti i membri attivi dell'Esercito di Liberazione.

Montecristi, 25 marzo 1895

José Martí

Máximo Gómez


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