Cuba

Una identità in movimento

Cosa non si perdona a Cuba

Raul Mordenti



"Fidel si è mosso da Caballo — soprannome acquisito da guerrigliero sulla Sierra Maestra e poi esteso alle sue prodezze sessuali" (p. 9); "Il (...) regime cubano, che ricorre al narcotraffico pur di alimentare le velleità di diffusione della rivoluzione." (p. 13); "per puntellarsi al regime castrista non resta che demonizzare l'America di Bush" (p. 15); "gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di invadere Cuba. (...) La questione è spiccatamente domestica. Si tratta di impedire che la regina delle Antille si trasformi in piattaforma caraibica del traffico di droga..." (p. 17).

Basti questo campionario tratto dall'editoriale (da attribuirsi al direttore Lucio Caracciolo) per constatare quale sia il livello giornalistico (oltre che etico-politico) del numero monografico di "Limes" dedicato a Cuba. Altro che tono obiettivo da prestigiosa "rivista italiana di geopolitica"! Altro che raffinatezza da liberal! Quando l'anticomunismo "ditta dentro" viene subito fuori la Fallaci che ogni Caracciolo reca in sé. C'è insomma dell'odio, del vero e genuino odio di classe, quel bell'odio di una volta, condito di disprezzo, dei signori contro i servi riottosi.

Così in queste 279 pagine dedicate a Cuba, non una sola volta viene data voce ai rappresentanti di Cuba: processo in contumacia, e senza difesa possibile; la condanna è già pronunciata da Caracciolo e, si presume, dal Comitato Scientifico della sua rivista, in cui figurano fra gli altri il generale NATO Carlo Jean, Tremonti, Canfora, Prodi, Romano, Bottai, Panebianco, Galli della Loggia, e ancora Gianfranco Miglio (ma con la crocetta dopo il nome, essendo trapassato). Date le premesse, non sorprenderà che non ci sia una sola parola sulle conquiste della rivoluzione, ad es. scuola e sulla sanità a Cuba che hanno raggiunto livelli per certi aspetti superiori a quelli statunitensi (come ha ammesso anche una fonte certo preziosa per "Limes", cioè il sito della CIA: cfr. www.cia.gov); non una parola sulle terribili conseguenze del feroce bloqueo USA che da 45 anni strangola l'isola, e soprattutto non una parola sul terrorismo contro Cuba finanziato e diretto dagli USA. Evidentemente l'odio di classe per Cuba, o il servilismo per l'amico americano, non induce solo a parlare e a mentire, costringe anche a tacere.

E poiché per fare più danno l'attacco mediatico a Cuba si deve (per dir così) "coprire a sinistra", ecco che il numero di "Limes" si adorna anche di due scritti equilibrati di Aldo Garzia (il quale ha dichiarato però pubblicamente la sua contrarietà al senso politico della monografia) e di uno di Antonio Moscato. Quest'ultimo, benché sia "Storico, giornalista e docente all'Università di Lecce", propone su "Limes" non un saggio bensì un suo raccontino, in cui si narra di dirigenti cubani che si ingozzano di aragoste, mentre un bravo quadro, considerato "'trozkista' come Che Guevara" (sic!, p. 212) mangia solo polenta, e con pochissimo sale. Ecco come anche da parte trozkista, alla faccia della tradizione internazionalista di quella corrente, si può portare il proprio piccolo sassolino all'attacco contro la rivoluzione cubana.

Fra gli articoli (per lo più di esuli anticastristi) che fanno da contorno al piattino avvelenato contro il popolo di Cuba se ne segnala uno sul Venezuela di una certa Marisa Bafile, vicedirettore della "Voce d'Italia" di Caracas, che già si distinse per il suo appoggio al golpe anti-Chavez. Basti anche in questo caso una sola citazione: "Ma il presidente venezuelano, nel suo delirio bolivarista (sic!), non aveva mai messo in conto la resistenza con cui si sarebbe scontrato" (p. 276-7). Oh malignità dei tempi tecnici per la stampa! La poveretta aveva evidentemente mandato il suo pezzullo prima di conoscere il risultato del referendum che ha riconfermato la fiducia popolare a Chavez.

In occasione della presentazione di questo volume alla libreria Feltrinelli di Roma, amici di Cuba e gente comune hanno già fatto sentire la propria indignazione ai responsabili di "Limes", chiedendo a Caracciolo di ospitare anche le posizioni di Cuba e di chiedere scusa almeno per le calunnie più infamanti: staremo a vedere se queste richieste saranno accolte oppure no.

Ma dopo la mostra fotografica di Toscani che si commuove per le carceri a Cuba (per quelle del Governo cubano, si noti, non per le vergognose prigioni USA a Guantanamo!) è chiaro che ci troviamo di fronte ad una vera e propria campagna di aggressione mediatica contro Cuba; è una campagna che segue lo strangolamento economico, accompagna l'isolamento politico e prepara l'invasione armata e la guerra. Le infamie su Cuba centrale internazionale del traffico di droga, come l'altra recente di Bush su Cuba santuario della pedofilia, servono a questo scopo: servono alla guerra. La Comunità Europea, travolta dalla sua cupidigia di servilismo verso gli USA, si è accodata prontamente; e così la CE (d'accordo centrodestra e centrosinistra italiani) ha soppresso i suoi (risibili) aiuti economici e ha deciso di invitare i "dissidenti" cubani alle scadenze ufficiali delle ambasciate europee (un gesto offensivo e provocatorio, al limite della rottura delle relazioni diplomatiche). Noi davvero non capiamo come la sinistra europea, anche quella più moderata, possa sottovalutare le sue precise e dirette responsabilità nell'impedire che dalla fase I (lo strangolamento economico) si passi alla fase III (l'invasione e la guerra), attraverso la fase II (l'isolamento politico e l'aggressione mediatica).

Forse i compagni cubani si sbagliano quando affermano di essere nel mirino della guerra di Bush (e si comportano di conseguenza, inasprendo le pene per gli agenti USA, i "dissidenti" e i sabotatori). E tuttavia le loro preoccupazioni vanno prese da tutti noi sul serio, molto sul serio. Perché la Baia dei Porci c'è già stata, e lo strangolamento aggressivo del bloqueo già c'è, come la presenza illegittima di una base militare USA sul territorio cubano. Soprattutto ci sono state e ci sono la guerra in Iraq, in Jugoslavia e in Afganistan, tutte preparate nello stesso modo, dal succedersi puntuale delle tre fasi che abbiamo descritto. E un documento ufficiale di Bush spiega come e perché favorire "con ogni mezzo" la fine della rivoluzione cubana, in modo di poter restituire le terre e le industrie cubane ai proprietari dell'epoca di Batista, instaurare finalmente il neo-liberismo nell'Isola e indire "libere" elezioni all'americana, con il Partito Comunista, neanche a dirlo, messo fuorilegge.

Il punto è allora capire cosa non si perdona a Cuba, non solo da parte dei nostri "democratici à la Caracciolo", ma anche da parte di tanti compagni per bene, i quali però non muovono un dito per difendere Cuba, come se la cosa non li riguardasse.

Non si tratta, come talvolta si dice, della pena di morte: perché la CE, e la sinistra atlantica italiana, intrattengono ottimi rapporti con Stati e regimi che praticano la pena di morte (presente in novanta Stati nel mondo e in quasi tutto il Sud America); le tre sbagliatissime e criticabilissime esecuzioni a Cuba, comminate a chi aveva dirottato armi alla mano una nave piena di turisti, vengono dopo un lungo periodo di moratoria della pena di morte a Cuba (che preludeva alla sua abolizione), ma nello stesso anno solo nel Texas (non dunque in tutti gli USA) le esecuzioni capitali sono state ben 51, non 3. Dunque, o si propone di rompere le relazioni con tutti i paesi che praticano la pena di morte, a cominciare dagli USA, dalla Cina e dai regimi arabi filo-USA, oppure questo nobile argomento non può essere invocato per contribuire allo strangolamento di Cuba.

Non si tratta neppure dei "diritti civili": perché Cuba è mille volte più democratica di tanti paesi beniamini dell'Occidente (dalla Colombia all'Arabia Saudita, dal Pakistan alla Turchia), mentre molti golpisti, o ex golpisti, fanno parte dell'Internazionale Socialista. Che la sinistra europea mostri per Cuba almeno altrettanto rispetto di quello dimostrato dalla Chiesa cattolica (e dallo stesso papa); così il padre gesuita Massimo Nevola: "Chi scrive è decisamente contrario alla pena di morte, al monopartitismo ecc. Ma non si sente (...) di avallare in alcun modo un blocco che strangola un popolo la cui vera colpa è quella di non volersi piegare alle logiche neoliberiste. Cuba ha la colpa di aver preteso di dimostrare che esiste un'alternativa" ("Gentes", nn. 9-10, 2004, p. 254). E non si può pensare di imporre con la forza il "modello" della democrazia USA che, proprio in questi giorni, preoccupa Jimmy Carter per il ripetersi di brogli elettorali in Florida e per gli ostacoli di ogni tipo posti al voto dei poveri e degli afroamericani; né si può dimenticare che questi sostenitori dei diritti civili hanno appoggiato regimi fascisti e golpisti in mezzo mondo e prodotto, fra l'altro, la vergogna delle torture a Guantanamo e nelle carceri in Iraq. E soprattutto, di nuovo: o si rompe con tutti i Paesi del mondo che non praticano il pluripartitismo sul modello occidentale oppure è ipocrita l'uso di questo argomento per peggiorare la vita quotidiana di milioni di cubani e metterne in discussione l'autonomia nazionale.

Cuba si sente (e di fatto è) al centro di un'aggressione, e solo l'allentamento di questa situazione, a cui la sinistra europea può e deve contribuire in prima persona, permetterà a quell'esperienza rivoluzionaria di svolgersi liberamente e in pace, sperimentando una sua "via nazionale" che sviluppi gli spunti di un socialismo "dal basso" e libertario così presenti nel pensiero di Martí, di Guevara e di Castro, oltre che nella cultura profonda di quel popolo.

Si capisce allora cosa non perdonano a Cuba: non le perdonano di esistere e di avere resistito. Questo fatto ha reso Cuba non l'ultima rivoluzione del XX secolo bensì la prima del XXI, una rivoluzione che dunque rappresenta l'interlocutore naturale del Movimento no-global quando affronta temi come la sanità e il diritto ai saperi, come la biodiversità, l'acqua, i "beni comuni" e la democrazia partecipativa. Sono tutti temi su cui il Movimento ha certo molto da imparare da Cuba ma, forse, anche qualcosa da proporle fraternamente, da compagni a compagni. Al tempo stesso Cuba è un punto di riferimento per il risveglio dell'America latina, da Lula a Chavez, passando per il Chiapas zapatista e la stessa Argentina. Si capisce dunque bene perché per Bush, e chi lo sostiene in Italia, la piccola Cuba sia tanto importante (e tanto imperdonabile), perché sia meglio per loro puntare alla guerra preventiva contro Cuba.

Ma allora, ancora una volta, la campana suona per tutti noi.



Cuba. Una identità in movimento

Webmaster: Carlo NobiliAntropologo americanista, Roma, Italia

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