Cuba

Una identità in movimento


Tra tumba francese e latin jazz. Intervista a Yaroldy Abreu

Gian Franco Grilli



Tra i giovani percussionisti cubani che continuano a rinnovare la grammatica e la pronuncia della tumbadora nel jazz afrolatino, uno dei nomi più autorevoli è quello del trentunenne Yaroldy Abreu, il cui punto di riferimento è il lavoro di grandi maestri immortali come Chano Pozo, Tata Güines, Mongo Santamaría, Jorge "El Niño" Alfonso e Miguel "Angá" Dìaz.


Dopo l'esordio internazionale con Maraca y Otra Visión, Yaroldy è entrato nel team di Chucho Valdés, il principale protagonista della musica cubana negli ultimi quarant'anni, come compositore, direttore d'orchestra e talent scout.

Infatti, alla testa del famoso grupposcuola Irakere, il gigante del piano Valdés ha "cresciuto" le figure più importanti della percussione cubana, tra cui, negli ultimi anni, anche il giovane Yaroldy Abreu Robles:


"... il miglior tumbador in circolazione — rispose Chucho Valdés al nostro microfono due anni fa a Milano — tra i tanti talenti della nuova generazione presenti a Cuba. Esperto di ritmi cubani di origine franco-haitiana e conoscitore del folclore afrocubano, Yaroldy è un percussionista fantasioso, espressivo, dotato di grande tecnica e virtuosismo, con uno stile originale".


Con un patrocinio cosí autorevole abbiamo avvicinato il talentuoso percussionista in concerto a Verona nel giugno scorso. Una chiacchierata lunga, che si è completata telefonicamente a Barcellona. Ecco il racconto.



INTERVISTA

Dici Abreu e pensi alla dinastia di Los Papines dell'Avana. Ma non è sempre vero. Ci spieghi perché con un tuo breve ritratto?

Yaroldy Abreu. Foto: Antonello Mori/Kino MusicNon provengo dalla famiglia Abreu che ha generato il famoso gruppo percussionistico, non sono habanero anche se vivo nella capitale, ma una cosa che condividiamo è la passione per la tumbadora. Tra i miei antenati ci sono haitiani e giamaicani, sono nato il 22 febbraio 1977 a Sagua de Tánamo, località nella provincia di Holguín, ma vicinissima a Guantánamo, nella parte più orientale dell'isola. Sono cresciuto in un ambiente ricco di tradizioni e in particolare andavo con mia nonna alle attività della Tumba Francesa de Bejuco. Questa è un'associazione solidale che conserva e valorizza il folclore di origine franco-africano-caraibico attraverso incontri di tipo ricreativoculturale e, soprattutto, feste organizzate dagli schiavi provenienti da Haiti. Un fenomeno sociale e artistico che si dipana attraverso canti, ritmi e balli offrendo rappresentazioni di contradanza francese e di danza e impiega tamburi, anziché violini o strumenti europei; cerca di riprodurre — semplificando molto — l'organizzazione dei coloni, con la regina e il re in costumi colorati assieme ad altri protagonisti che si muovono in uno scenario al passo dei ritmi, i toques fondamentali della tumba francesa: masón, frenté e yubá. Queste tre forme sono legate al ballo: il masón apre e chiude l'incontro, è ritmato e facile per tutti; yubá, il più tipico dei tre, consiste in una danza tra coppie di mezza età che richiama i balli dei saloni francesi; nel frenté c'è un giocoduello tra percussionista e ballerini che improvvisano e mostrano virtuosismo: il premier, il tamburo fondamentale, (gli altri sono: second e bulá — NdA) sfida i passi della danza, un botta e risposta simile a quanto accade nella columbia (variante della rumba — NdA) tra il quinto e i passi del ballerino.

Questa immersione tra balli francoafricani al ritmo del tambor fa parte di un percorso musicale più ampio. Come e quando è cominciato?

Ho iniziato a studiare la chitarra come primo strumento nella Casa di Cultura del mio paese e allo stesso tempo facevo sport. Poi a nove anni cominciai con le percussioni classiche nella Escuela Vocacional de Arte a Holguín e nel 1996 entrai all'ISA (Instituto Superior de Arte) dell'Avana, dove mi sono diplomato nel 2001. Suono tutta la gamma delle percussioni di tipo accademico e quelle della tradizione afrocubana.

Yaroldy AbreuNelle poliritmie con il chequeré canti in lucumí. Hai studiato il patrimonio delle culture ancestrali e aderisci a qualche sincretismo religioso afrocubano?

Non mi ritengo un cantante, non conosco le lingue africane, ma frequentando gli ambienti del folclore qualcosa si apprende, anche se non si vuole. Per il mio lavoro era importante saperne di più e così mi sono avvicinato con spirito artistico a quelle tradizioni e ho imparato alcuni canti senza conoscerne alla perfezione il significato esatto. Non sono quindi un profondo conoscitore della cultura Yoruba, non sono credente, sono attratto però dalla simbologia e dai canti dei culti magico-religiosi afrocubani.

Puoi parlarci del tuo set di percussioni e quali sono fondamentali in ogni tipo di scenario?

Naturalmente le mani (ride), e le tumbadoras. Ma molto dipende dalla formazione: ad esempio con il quartetto lavoro con quattro tumbadoras più una miscellanea di strumenti della tradizione afrocubana (claves, cencerro, güiro, maracas, bongó), che mi serve per dare colore ai pezzi, e il chequeré, basilare in alcune composizioni che abbiamo in repertorio.

Il nome della prima band e degli altri gruppi con i quali hai suonato…

Son de Sagua è stato il mio primo complesso, nel quale suonavo la chitarra con un repertorio misto. L'esordio nella percussione fu con il bongó in vari gruppi e poi con un ventaglio più ampio di strumenti cominciai a lavorare con il gruppo Piapá, facendo percussione di tipo sperimentale, e con un quintetto di percussione classica. Nel frattempo, quando capitava, suonavo con gruppi di musica ballabile come Pupy y Los Que Son Son ed altri. Nel 1997 divento professionista con il gruppo Maraca y Otra Visión, nel 2000 passo a Irakere e nel 2001 entro nel quartetto di Chucho Valdés.

Quindi il grande salto nella squadra del n. 1 dei pianisti e direttori cubani. Ma puoi ricordarci la formazione del 2000 di Irakere, gruppo di cui si sono perse un po' le tracce?

Yaroldy AbreuIn quel periodo Chucho era molto impegnato con il quartetto e quindi al piano c'era Tony Pérez. Abbiamo suonato tra l'altro negli Stati Uniti, al Jazz Festival di Cancún e anche a quello di Manerbio (Brescia), e qui c'era anche Chucho, che interveniva quando non aveva concerti con il quartetto. Ora il Maestro sta preparando il nuovo progetto Irakere e a breve ci sarà il ritorno del gruppo in grande stile.

Continuare il percorso dei grandi percussionisti di Irakere non ti ha creato ansia?

Credo di essere stato favorito dall'esperienza con la band di Maraca (Orlando Valle Molerio — NdA), che in un certo senso mi ha preparato ai suoni di Irakere. Infatti nel latin jazz di Maraca — che aveva suonato con il gruppo di Valdés — c'erano influenze linguistiche di Irakere, e così ho iniziato ad assimilare quel sound che comunque avevo studiato attraverso l'ascolto dei loro dischi. Un po' di ansia per il ruolo che mi veniva assegnato la sentivo, ma è normale e — ripeto — il preambolo con Maraca mi ha insegnato a incorporare con agilità le percussioni nel nuovo contesto orchestrale al quale mi sono adattato abbastanza bene, credo.

Studiando il lavoro dei percussionisti di Irakere che ti hanno preceduto, hai potuto stabilire chi è stato il migliore? E in generale, chi sono i tuoi idoli della percussione?

Il migliore non esiste. La musica non è una gara, quello che conta è l'armonia, la comunicazione, le emozioni che riesci a trasmettere e, inoltre, io ritengo ci sia sempre da imparare qualcosa anche dai peggiori. I miei idoli in assoluto sono Chano Pozo e Tata Güines, di cui noi siamo allievi e portiamo avanti il messaggio. Ma allargando il discorso posso dire che anche "El Niño" (che suonò con Irakere e scomparve giovane — NdA) è stato importante. Vogliamo parlare di "Changuito" José Luis Quintana? Lui è un multipercussionista maestoso, dotato di straordinaria creatività, ha svelato segreti a percussionisti di tutto il mondo, ha creato geniali intrecci di tecnica tra batteria e tumbadora; e ho usato questo nome anziché conga, come molti invece dicono, ma sbagliano...

... ma parlando di strumenti il vocabolo conga è universale e anche la parola tumba di origine congo.

Lo so, è un discorso lungo... Conga, comunque, è un nome commerciale ideato per vendere un prodotto, come lo è stato il termine salsa, che racchiude vari stili musicali, per commercializzare la musica latina... Ma si crea confusione. Ad esempio, parlando di conga mi viene da pensare alla conga santiaguera del carnevale oppure a una donna cubana. Ma riprendendo il discorso sui nomi migliori della percussione ci sono diversi artisti che hanno creato ritmi o pattern particolari, uno ad esempio è Oscar Valdés degli Irakere.

Ti riferisci al trascinante batún batá situato dentro i ritmi di son batá dei primi dischi Irakere. Vuoi parlarcene?

Sì, è la miscela ideata da Oscar Valdés che proviene da toques Iyesa. Un mix ritmico esplosivo, che unisce la melodia della tumbadora (da cui deriva il batún) e il cencerro — suonato allo stesso tempo dal tumbador con una bacchetta mentre l'altra mano è libera — con il ritmo base dell'Iya, il più grande dei tamburi batá. Questa cellula ritmica sosteneva in particolare i brani ballabili nel repertorio variegato degli Irakere e la troviamo in composizioni come "Bacalao Con Pan", "Misaluba", "La Verdad" (il ritornello canta: "... es verdad que tu bailas batún batá" — NdA) o anche "Aguanille Bonko", eccetera.

Sei compositore? E nelle composizioni di Chucho Valdés come avviene l'inserimento delle percussioni?

Sì, compongo per ensemble di percussioni. Con Chucho si lavora in gruppo: lui lancia il tema e noi lo seguiamo, a volte arriva con la partitura e indica i punti dove poter inserire lo schema ritmico. Ma il punto di riferimento e la parola più importante spettano al compositore del tema.

Ti consideri più rumbero o jazzista, ami più la tradizione afrocubana o il jazz?

Io mi ritengo un percussionista, amo tutta la percussione con il suo variegato panorama di strumenti e mi muovo nelle principali musiche del mondo. Il mio lavoro mi porta ad esprimermi nel latin jazz, ma suono con la stessa determinazione rumba, son, toques batá o musica brasiliana, che adoro.

Con la bacchetta magica, come sarebbe la tua sezione ritmica suprema?

Difficile rispondere. Ma credo di aver fatto parte di sezioni di grosso spessore, tra cui — e per me è un grande onore — quella con Tata Güines e Changuito. Ho lavorato abbastanza con loro.

Yaroldy AbreuTra i tanti album a cui hai collaborato, qual è il preferito? E progetti da solista?

Tutti sono stati importanti, ma un album che ho vissuto con grande intensità, offrendo un buon contributo di schemi ritmici, è New Conception (Blue Note, 2003) con il quartetto di Chucho Valdés. Un cd registrato a Cuba, mixato e masterizzato negli Usa, con numerosi ospiti che provengono dalla formazione base di Irakere. Come solista sto preparando un progetto, ma... è come avere un altro figlio: non so se bastano nove mesi o di più.

Quindi hai già dei figli? Raccontaci un po' la tua vita familiare, come trascorri il tempo libero, hobby eccetera.

Sì, ne ho due: uno di 2 anni e l'altro di 8 mesi. E finora le due nascite sono stati i momenti più importanti della mia vita, che si svolge nel quartiere habanero del Vedado; quando non sono in tournée trascorro il tempo libero con la famiglia e con gli amici, al mare o in campagna, ascolto molto musica, leggo per arricchire la mia persona, ma il mio hobby preferito è creare piatti nuovi in cucina. Eppoi da buon cubano amo ballare salsa, timba, mentre non me la cavo con il reggaeton, anche se mi piace e l'ho pure suonato.

Pertanto quando sei a Cuba — e non lavori con il maestro Valdés — metti da parte la musica?

Ogni tanto dedico qualche ora a studi di tecnica e, compatibilmente con gli impegni famigliari, lavoro con altri artisti e non solo con le tumbadoras, ma con bongó e percussioni varie, tra progetti di musica brasiliana, africana, di ogni genere.

Con un po' di fortuna, è possibile incontrarti nei jazzclub di Cuba? E quali sono?

Quando amici jazzisti mi invitano, vado a suonare con loro nei due club di jazz che esistono ora nella capitale: La Zorra y El Cuervo e il Jazz Café. Un po' di jazz si può ascoltare, a volte, alla Sala Atril, ma spero proprio che si aprano nuovi locali perché sono tanti i giovani che suonano jazz e hanno bisogno di spazi. Mi si può incontrare (ride) anche all'ISA, dove insegno.

Grazie e arrivederci, ovunque sia.

Muchas gracias a te e al mensile Percussioni.





Quest'articolo è stato pubblicato nel numero di ottobre della Rivista Percussioni


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Pagina inviata da Gian Franco Grilli
Giornalista, responsabile del Caribe (Associazione culturale)
(10 ottobre 2008)


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