Cuba

Una identità in movimento

La Scuola di medicina latino-americana dell'Avana

Simone Casadei



Le recenti deliberazioni di numerosi paesi europei e delle principali Organizzazioni Internazionali circa la riduzione/azzeramento del debito estero dei Paesi più poveri e maggiormente indebitati hanno rilanciato il dibattito sulle relazioni politiche economiche e commerciali in atto tra i Paesi industrializzati (quelli, è bene ripeterlo, dove vive il 20% della popolazione mondiale e vengono consumate l'80% delle risorse) ed i Paesi in via di sviluppo.

Se la cooperazione "Nord-Sud" occupa sistematicamente le pagine dei quotidiani e, più raramente, di alcune trasmissioni televisive, la cooperazione tra i paesi del Sud del mondo è praticamente assente. Si tratta spesso di microprogetti che coinvolgono le realtà di base, la "società civile" (associazioni, comunità religiose, sindacati, ecc.) di diversi paesi ovvero, più raramente, di forme di cooperazione "governativa" frutto di accordi ufficiali tra le istituzioni politiche dei relativi paesi.

Tra le esperienze di cooperazione "Sud-Sud" più significative figura la Scuola di Medicina Latino-Americana inaugurata a novembre dello scorso anno all'Avana (Cuba). La Scuola nasce dallo studio di un programma integrale di salute (che include cioè la prevenzione, la cura e la riabilitazione ) elaborato in seguito al passaggio di due terribili uragani, George e Mitch, che nel 1998 causarono in Centro America un numero impressionante di vittime e distrusse le case e le coltivazioni di migliaia di famiglie. In seguito a tale calamità ci fu una grande mobilitazione internazionale, si parlò di congelare i debiti che i paesi colpiti avevano con i Paesi industrializati e con gli organismi finanziari internazionali. Come spesso accade molto presto le cronache dei mass-media vennero occupate da notizie più "fresche" ed accanto alle popolazioni colpite rimasero solamente alcune ONG che avviarono programmi di emergenza e di riabilitazione socio-sanitaria e produttiva. Alcuni giorni dopo il passaggio degli uragani partivano da Cuba le "brigate della salute" medici volontari specializzati in diversi settori che raggiunsero le località più remote del Messico, dell'Honduras, del Nicaragua e del Guatemala ed iniziarono a provvedere ai bisogni sanitari immediati dei campesinos (che, per inciso, spesso non avevano mai visto un medico "ufficiale", con tanto di camici e strumenti per la diagnostica e le prestazioni di emergenza).

Dall'esperienza realizzata nella cooperazione sanitaria d'emergenza nasce il programma di formazione universitaria per medici provenienti dai paesi caraibici e sudamericani. Molti di questi ragazzi — l'età media è inferiore a vent'anni — sognavano di studiare medicina nei loro paesi, senza tuttavia riuscire a coronare tale sogno a causa degli altissimi costi per l'istruzione universitaria, del tutto fuori della portata delle loro famiglie. La Scuola, progettata per accogliere 3500 studenti ha attualmente 1929 iscritti che rimarranno presso la struttura per due anni completando un ciclo di studi teorici per poi essere indirizzati presso le 20 facoltà di medicina presenti nell'isola. E' quasi superfluo precisare che la scuola è totalmente gratuita per gli studenti che oltre a ricevere vitto, alloggio e materiali didattici ed a praticare numerose attività sportive, culturali, sociali ricevono un salario di circa 160 pesos cubani per le loro spese personali. Non ultimo, hanno a disposizione un pulmino che li conduce nelle chiese e nei templi di culto, nel pieno rispetto delle loro confessioni religiose di appartenenza.

I futuri medici si impegneranno a prestare servizio per alcuni anni nelle località più disagiate dei loro paesi di origine riducendo in tal modo la dipendenza di questi dall'aiuto esterno. Nelle parole di Fidel Castro — che ha inaugurato la Scuola nello scorso novembre insieme a tutti i capi di stato e di governo dell'America Latina in occasione del IX Summit Ibero-americano — la Scuola "è un simbolo di ciò che si può costruire... questo è un modesto contributo di Cuba all'unità ed all'integrazione dei paesi dell'America Latina".

Più in generale, almeno per chi scrive quest'esperienza rappresenta un modello circoscritto ma significativo di come potrebbero svilupparsi proficuamente delle pratiche di cooperazione realmente orizzontali, dove lo "scambio ineguale" tra il Nord ed Sud (a tutto vantaggio del primo che, in sostanza, presta al secondo denari per lo sviluppo e, contemporaneamente, gli vende armi) lasci il posto ad uno scambio tra pari (in cui lo sviluppo del Nord non si fondi sul sottosviluppo del Sud).

Lungi dal deresponsabilizzare governi e società civile del Nord del pianeta ("se i poveri si aiutano tra loro perché non tagliare i bilanci ai progetti di sviluppo?") tali pratiche costituiscono una positiva "provocazione alla solidarietà" che, si spera, possa far breccia e costituire un precedente per le iniziative di cooperazione e solidarietà internazionale già presenti nei paesi industrializzati. Spesso la cooperazione allo sviluppo — governativa e non — è stata ispirata da logiche di interesse, opportunismo economico e politico che poco hanno a che fare con lo sviluppo sostenibile ed autocentrato del Sud.

Dall'esperienza della Scuola latinoamericana di medicina apprendiamo che anche oggi nell'era della società globalizzata la solidarietà continua ad aver molto a che fare con la "tenerezza dei popoli" di cui parlava Ernesto "Che" Guevara, un personaggio molto caro ai cubani e, credo, a quanti, in qualsiasi parte del pianeta, sognano e lottano per una società locale e mondiale dove non ci sia più spazio per lo sfruttamento e la sopraffazione.


Cuba. Una identità in movimento

Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia

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