Cuba

Una identità in movimento


La tirannia mondiale. Riflessioni del Comandante in Capo / La tiranía mundial. Reflexiones del Comandante en Jefe

Fidel Castro Ruz


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I Fondamenti della Macchina per Uccidere

Coloro che fondarono la nazione nordamericana non hanno potuto immaginare che ciò che allora proclamavano, portava, come qualsiasi altra società storica, i germi della sua stessa trasformazione.

Nell'affascinante Dichiarazione d'Indipendenza del 1776, che mercoledì scorso ha compiuto 231 anni, s'affermava qualcosa che, in un modo o nell'altro, ci ha affascinato in molti:

    "Noi riteniamo quali verità di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, fra questi la vita, la libertà e la ricerca delle felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qual volta una qualsiasi forma di governo, tenda a negare tali fini, è diritto del popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo che si fondi su tali principi ed organizzi i suoi poteri nella forma che a suo giudizio meglio garantisca la sua sicurezza e felicità".

Era il frutto dell'influenza dei migliori pensatori e filosofi di un Europa oppressa dal feudalesimo, dai privilegi dell'aristocrazia e dalle monarchie assolute.

Jean Jacques Rousseau, nel suo famoso Contratto Sociale, affermò:

    "Il più forte non è mai sufficientemente forte per essere il padrone, se non trasforma la forza in diritto e l'obbedienza in dovere".

    […] "La forza è un potere fisico; non vedo che tipo di moralità possa derivare dai suoi effetti. Cedere alla forza è un atto di necessità, non di volontà".

    […] "Rinunciare alla libertà è rinunciare alla qualità dell'essere umano, ai diritti dell'Umanità, compresi i suoi doveri. Non vi è ricompensa possibile per chi rinuncia a tutto".

Nelle 13 colonie resesi indipendenti esistevano inoltre forme di schiavitù tanto atroci quanto quelle dei tempi antichi. Uomini e donne erano venduti in aste pubbliche. L'emergente nazione stava nascendo con la propria religione e la propria cultura. Le tasse sul tè furono la scintilla che infiammarono la ribellione.

In quelle terre infinite gli schiavi continuarono ad esserlo ancora per quasi 100 anni e dopo due secoli i loro discendenti ne pagano le conseguenze. Vi erano comunità indigene, legittimi abitanti naturali, boschi, acqua, laghi, mandrie di milioni di bisonti, una natura ricca di fauna e flora, cibo abbondante e vario. Non si conoscevano gli idrocarburi né gli enormi sprechi energetici dell'attuale società. La stessa dichiarazione di principio, se fosse stata proclamata nei paesi circondati dal deserto del Sahara, non avrebbe creato un paradiso per gli immigranti europei. Oggi bisognerebbe parlare degli immigranti dei paesi poveri che ogni anno a milioni passano, o cercano di passare, le frontiere degli Stati Uniti cercando un lavoro e non hanno diritto né alla paternità dei loro figli se nascono in territorio nordamericano.

La Dichiarazione di Filadelfia è stata redatta in un'epoca in cui esistevano solamente piccole tipografie e le lettere impiegavano mesi per arrivare da un paese all'altro. Potevano essere contati uno ad uno i pochi che sapevano leggere e scrivere. Ai giorni nostri l'immagine, la parola, le idee arrivano in frazioni di secondo da un angolo all'altro del pianeta globalizzato. Si creano nelle menti riflessi condizionati. Non si può parlare del diritto all'uso, ma all'abuso della libera espressione e della alienazione di massa. Al contempo, con un piccolo strumento elettronico, una qualsiasi persona, in tempi di pace, può far arrivare al mondo le sue idee senza che nessuna Costituzione l'autorizzi. Sarebbe una lotta d'idee, in ogni caso una massa di verità contro una massa di menzogne. Le verità non hanno bisogno di pubblicità commerciale. Nessuno potrà trovarsi in disaccordo con la Dichiarazione di Filadelfia ed il Contratto Sociale di Jean Jacques Rousseau. In entrambi i documenti si sostiene il diritto a lottare contro la tirannia mondiale.

Possiamo ignorare le guerre di saccheggio e le carneficine che sono imposte ai popoli poveri, che costituiscono i tre quarti degli abitanti del pianeta? No! Sono proprie del mondo attuale e di un sistema che non può sostenersi in altro modo. Ad un costo politico, economico e scientifico enorme, si spinge la specie umana sul bordo dell'abisso.

Il mio obbiettivo non è ripetere concetti già menzionati in altre riflessioni. Partendo da semplici fatti, il mio proposito è dimostrare l'immenso grado d'ipocrisia e la totale assenza d'etica che caratterizzano le azioni, caotiche per natura, del governo degli Stati Uniti.

Ne "La macchina per uccidere", pubblicata domenica scorsa, ho detto che il tentativo di avvelenarmi usando un funzionario del governo cubano che aveva accesso al mio ufficio, l'abbiamo conosciuto grazie ad uno degli ultimi documenti declassificati della CIA. Era una persona su cui dovevo cercare informazioni, poiché non possedevo i necessari elementi di giudizio. Ho così chiesto scusa se toccavo i sentimenti di qualche discendente, fosse o no colpevole la persona indicata. Di seguito, ho analizzato altri temi importanti delle rivelazioni della CIA.

Nei primi tempi della Rivoluzione visitavo quasi tutti i giorni il nuovo Istituto Nazionale della Riforma Agraria, ubicato ove ora si trova il Ministero delle Forze Armate Rivoluzionarie. Non si poteva ancora contare sul Palazzo della Rivoluzione, dove a quei tempi si trovava il Palazzo di Giustizia. La sua costruzione fu un succulento affare del regime sconfitto. Il principale guadagno consisteva nell'incremento del valore dei terreni da cui erano state sfrattate migliaia di persone che, in qualità di avvocato neolaureato, difesi gratuitamente per mesi, prima del colpo di stato di Batista. Era accaduto lo stesso con altri edifici di lusso che in molti casi stavano per essere ultimati.

Il 4 marzo 1960, mentre mi trovavo negli uffici dell'INRA, ascoltai la terrificante esplosione de La Coubre ed osservai la scura colonna di fumo che emergeva dal porto dell'Avana. Pensai rapidamente alla nave carica di granate anticarro ed antiuomo, che potevano essere lanciate con fucili FAL acquistati in Belgio, paese per nulla sospettato di essere comunista. Scesi immediatamente per recarmi sul posto. Nel tragitto, a causa del rumore e delle vibrazioni del traffico, non mi accorsi della seconda esplosione. Morirono più di 100 persone e decine di queste rimasero mutilate. Durante il funerale delle vittime nacque, spontaneo, il grido "Patria o Morte".

È noto che tutto fu minuziosamente programmato dall'Agenzia Centrale d'Intelligenza già nel porto d'imbarco. La nave era transitata dai porti di Le Havre, Amburgo ed Anversa. In quest'ultimo, in Belgio, furono caricate le granate. Nell'esplosione della nave morirono anche diversi uomini dell'equipaggio francese.

Perché, in nome della liberta d'informazione, non si declassificato un solo documento che ci dica come la CIA, quasi mezzo secolo fa, fece esplodere il piroscafo La Coubre ed interrompere il rifornimento di armi belghe, che, come ammesso dalla la stessa agenzia il 14 giugno 1960, rappresentavano una seria preoccupazione per gli Stati Uniti?

La prima pulizia in grande dell'Escambray s'effettuò nei mesi a cavallo tra il 1960 ed il 1961. Parteciparono oltre 50 mila uomini, quasi tutti provenienti dalle antiche province dell'Avana e Las Villas.

Un fiume di armi stava giungendo dall'URSS con delle navi che non esplodevano entrando nei porti. Fu inutile tentare di comprarle da altri ed evitare così i pretesti usati dagli Stati Uniti per aggredire il Guatemala, con un saldo che nel tempo costò a quel paese, tra morti e dispersi, oltre centomila vite.

Acquistammo in Cecoslovacchia le armi leggere ed un numero di batterie antiaeree da 20 millimetro a canna doppia. I carri armati con cannoni da 85 millimetri, l'artiglieria blindata da 100, i cannoni anticarro da 75, mortai, gli obici ed i cannoni di grosso calibro, perfino quelli da 122 millimetri, le batterie antiaree leggere e pesanti, provenivano direttamente dall'URSS.

Seguendo i metodi tradizionali, la formazione del personale necessario all'utilizzo di quegli armamenti sarebbe durata almeno un anno. Si terminò in alcune settimane. A quel compito fondamentale dedicammo praticamente il cento per cento del nostro tempo, quasi due anni dopo il trionfo della Rivoluzione.

Conoscevamo l'imminenza dell'attacco, ma non quando e come si sarebbe prodotto. Tutti i possibili punti d'accesso erano difesi e controllati. I capi al loro posto: Raúl in Oriente, Almeida nel centro ed il Che a Pinar del Río. Il mio posto di comando si trovava nella capitale: una antica casa borghese adattata alla necessità, sulla sponda destra nella parte più alta del fiume Almendares, vicino al punto in cui sfocia nel mare.

Era già giorno, il 15 aprile 1961, e sin dalle prime ore del mattino stavo ricevendo notizie da Oriente, quando giunse, proveniente dal Sud degli Stati Uniti, una nave comandata da Nino Díaz, con a bordo un gruppo di controrivoluzionari vestiti con uniformi verde oliva, simili a quelle delle nostre truppe, con l'intenzione di effettuare uno sbarco nella zona di Baracoa. Stavano facendo una manovra diversiva rispetto all'esatto luogo d'approdo, per creare la maggiore confusione possibile. L'imbarcazione già era a tiro dei cannoni anticarro, in attesa dello sbarco, che alla fine non venne realizzato.

Contemporaneamente, giunse la notizia che durante la notte del 14 era esploso durante un volo di ricognizione sulla la zona del probabile sbarco, uno dei nostri tre aerei da caccia supersonici d'addestramento, adatti però al combattimento, senza dubbio a causa di un'azione yankee partita dalla base navale di Guantánamo o da un altro punto del mare o del cielo. Non esistevano dei radar per determinare con esattezza l'accaduto. In questo modo morì il valoroso pilota rivoluzionario Orestes Acosta.

Dal citato posto di comando fui costretto a vedere i B-26 volare quasi rasenti sul luogo e, pochi secondi dopo, ascoltare i primi ordigni lanciati di sorpresa contro i nostri giovani artiglieri che si esercitavano numerosi nella base aera di Ciudad Libertad. La risposta di quei valorosi fu quasi istantanea.

Non ho il minor dubbio, d'altro canto, che Juan Orta fu un traditore. I dati corrispondenti sulla sua vita e la sua condotta si trovano dove devono essere: negli archivi del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, nato in quegli anni sotto la pioggia di fuoco del nemico. Gli uomini con maggiore coscienza politica furono assegnati a quel compito.

Orta aveva ricevuto le pastiglie avvelenate proposte da Giancana a Maheu. La conversazione di quest'ultimo con Roselli, che aveva il ruolo di contatto con il crimine organizzato, si svolsero il 14 settembre 1960, mesi prima dell'elezione ed insediamento di Kennedy.

Il traditore Orta non possedeva meriti speciali. Rimasi in contatto con lui nel periodo in cui cercavamo il sostegno degli immigranti e degli esiliati negli Stati Uniti. Era apprezzato per la sua apparente preparazione e la sua attitudine servizievole. Possedeva in questo campo una capacità speciale. Dopo il trionfo della Rivoluzione, in un periodo importante, ebbe frequentemente la possibilità d'avvicinarmi. Partendo dalle possibilità che allora ebbe, si convinsero che avrebbe potuto introdurre del veleno in una bibita o in un succo d'arancia.

Si suppone che abbia ricevuto dei soldi dal crimine organizzato per riaprire i casinò. Non ebbe nulla a vedere con quelle misure. Fummo noi che prendemmo la decisione. L'ordine inconsulto e non collegiale di Urrutia di chiuderli, aveva creato il caos e provocava le proteste di migliaia di lavoratori del settore turistico e commerciale, in un momento in cui la disoccupazione era molto alta. Successivamente, i casinò furono definitivamente chiusi dalla Rivoluzione.

Al momento della consegna del veleno, contrariamente a quanto succedeva nei primi tempi, le possibilità che Orta s'incontrasse con me erano molto poche. Ero totalmente occupato nell'attività precedentemente riferite.

Senza parlare con nessuno dei piani del nemico, il 13 aprile 1961, due giorni prima dell'attacco alle nostre basi aeree, Orta chiese asilo all'ambasciata del Venezuela, che Rómulo Betancourt aveva posto ad incondizionato servizio di Washington. Ai numerosi controrivoluzionari lì rifugiatisi, non venne concesso il permesso d'uscita finché non cessarono le brutali aggressioni degli Stati Uniti contro Cuba.

Avevamo già dovuto affrontare in Messico il tradimento di Rafael del Pino Siero, che disertò a pochi giorni dalla nostra partenza per Cuba, ignorandone la data, e vendette a Batista, per 30 mila dollari, alcuni importanti segreti riguardanti una parte delle armi e l'imbarcazione che ci avrebbe trasportato a Cuba.

Con raffinata astuzia suddivise le informazioni per guadagnare la fiducia e garantire il compimento di ciascuna parte. In un primo tempo avrebbe ricevuto alcune migliaia di dollari per la consegna di due depositi di armi di cui era a conoscenza. Una settimana dopo avrebbe consegnato la cosa più importante: l'imbarcazione che ci portava a Cuba ed il punto di sbarco. Saremmo stati tutti catturati con le altre armi, però prima gli avrebbero dovuto consegnare l'intera somma.

Nonostante questo tradimento, partimmo dal Messico con il yacht "Granma" alla data prevista. Alcuni nostri sostenitori credevano che Pino non ci avrebbe mai traditi e che la sua diserzione era dovuta all'avversione per la disciplina e l'addestramento che esigevo. Non dirò come seppi dell'operazione da lui cospirata con Batista, ma la conobbi con precisione ed adottammo le misure pertinenti per proteggere il personale e le armi durante il trasferimento a Tuxpan, punto di partenza.

Quando terminò l'ultima offensiva della tirannia sulla Sierra Maestra, dovemmo ugualmente combattere contro gli inganni temerari di Evaristo Venereo, un agente del regime che, mascherato da rivoluzionario, cercò d'infiltrarsi in Messico. Era il contatto con la polizia segreta di quel paese, un organo molto repressivo che egli aiutò nell'interrogatorio, dopo averlo bendato, di Cándido González, militante eroico assassinato dopo lo sbarco. Era uno dei pochi compagni che guidava l'auto con cui mi muovevo.

Evaristo ritornò successivamente a Cuba. Aveva l'ordine d'uccidermi mentre le nostre forze già avanzavano in direzione di Santiago de Cuba, Holguín, Las Villas e l'Occidente del nostro paese. Si conobbero i dettagli una volta occupati gli archivi del Servizio Segreto Militare. È documentato.

Sono sopravvissuto a numerosi piani per assassinarmi. Solamente il caso e l'abitudine d'osservare scrupolosamente ogni dettaglio ci hanno permesso, a coloro che furono successivamente riconosciuti come i capi della trionfante Rivoluzione, a Camilo, al Che, a Raúl, ad Almeida, a Guillermo, di sopravvivere agli stratagemmi di Eutimio Guerra, nei giorni iniziali e più drammatici della Sierra Maestra. Saremmo probabilmente morti, quando, guidati dal traditore, furono sul punto di sterminarci con un ridicolo accerchiamento del nostro accampamento, colto di sorpresa. Nel breve scontro che si produsse, soffrimmo una dolorosa perdita, quella di un operaio negro dello zucchero, meraviglioso ed attivo, Julio Zenón Acosta, che avanzò qualche metro e cadde al mio fianco. Altri, sopravvissuti al pericolo mortale, morirono più tardi in combattimento, come Ciro Frías, eccellente compagno e promettente capo, caduto a Imías, sul Secondo Fronte; Ciro Redondo, che lottò con fierezza contro il nemico nelle forze della colonna del Che, a Marverde; Julito Díaz che, senza cessare di sparare con il suo mitragliatore calibro 30, morì a pochi passi dal nostro posto di comando nell'attacco a El Uvero. Eravamo nascosti in posto accuratamente scelto, aspettando il nemico, siccome ci eravamo resi conto del movimento che avrebbe realizzato quel giorno. Ci distraemmo un attimo all'arrivo di due uomini del gruppo, inviati come esploratori alcune ore prima di prendere la decisione di muoverci, e ritornati senza alcuna informazione.

Eutimio guidava il nemico con una guayabera bianca, l'unica cosa che si vedeva nel bosco dell'Alto de Espinosa, dove lo stavamo aspettando. Batista aveva pronta la notizia della sicura eliminazione del gruppo e convocata la stampa. Per un eccesso di fiducia, avevamo sottovalutato il nemico, che si sosteneva sulle debolezze umane. Eravamo in quel momento circa 22 uomini ben agguerriti e scelti. Ramiro, ferito ad una gamba, si stava riprendendo lontano da noi. All'improvviso, a causa degli ultimi movimenti effettuati, uscì quel giorno una colonna di oltre 300 soldati avanzando in fila indiana lungo la scarpata ed il boscoso scenario.

Come ha funzionato quella macchina contro la Rivoluzione cubana?

In una data tanto anticipata come il mese d'aprile del 1959, visitai gli Stati Uniti, invitato dal Club della Stampa di Washington. Nixon si degnò di ricevermi nel suo ufficio privato. In seguito affermò che ero un ignorante in materia economica. Ero così consapevole di quell'ignoranza, che m'iscrissi a tre corsi universitari per ottenere una borsa di studio che mi permettesse di studiare Economia ad Harvard. Avevo già superato tutti gli esami del corso di laurea in Diritto, Diritto Diplomatico e Scienze Sociali. Mi mancavano solamente due esami: Storia delle Dottrine Sociali e Storia delle Dottrine Politiche. Le avevo diligentemente studiate. Quell'anno nessun altro studente aveva fatto tale sforzo. Il cammino era stato tracciato, ma a Cuba i fatti stavano precipitando e compresi che non era il momento di ricevere una borsa di studio ed iniziare Economia.

Visitai Hardvard alla fine del 1948. Tornando a New York, acquistai un'edizione in inglese de Il Capitale per studiare l'insigne opera di Marx e così approfondire la conoscenza di quella lingua. Non ero un militante clandestino del Partito Comunista come Nixon, con il suo sguardo malizioso e indagatore, pensò. Posso assicurare, e lo scoprì all'Università, che fui prima un comunista utopico e dopo un socialista radicale, grazie alle mie stesse analisi ed ai miei studi, disposto a lottare con strategia e tattica adeguate. La mia unica riserva nel parlare con Nixon, era la ripugnanza a spiegare con franchezza il mio pensiero ad un vicepresidente, e probabile futuro Presidente degli Stati Uniti, esperto in concezioni economiche e metodi imperiali di governo, nei quali da tempo già non credevo.

Quale fu l'essenza di quella riunione che, in base a quanto raccontato dall'autore del memorandum, durò alcune ore? Dispongo solamente del ricordo di quanto successo. Di quel memorandum ho selezionato i paragrafi che a mio giudizio meglio spiegano le idee di Nixon.

    "Castro era particolarmente preoccupato del fatto di aver potuto irritare il senatore Smathers con i commenti fatti sul suo conto. All'inizio della conservazione gli assicurai che Meet the Press era uno dei programmi più difficili ai quali un funzionario pubblico potesse partecipare e che ci era riuscito molto bene, soprattutto pensando che aveva avuto il coraggio di parlare in inglese senza avvalersi di un traduttore".

    "Era inoltre evidente che il principale interesse della sua visita negli Stati Uniti, non era ottenere un cambio nella quota dello zucchero o un prestito dal governo, ma conquistare l'appoggio politico dell'opinione pubblica statunitense".

    "Fu la sua quasi schiava subordinazione alla prevalente opinione maggioritaria – ossia, la voce della plebe – più che la sua ingenua inclinazione al comunismo e la sua ovvia mancanza di comprensione dei più elementari principi economici, ciò che maggiormente mi preoccupò nel valutare il tipo di leader che sarebbe stato in futuro. È quella la ragione per cui passai tutto il tempo, cercando di insistere sul fatto che, sebbene possedesse il gran dono del comando, la responsabilità del leader non era seguire sempre l'opinione pubblica, ma aiutare ad incamminarla sulla giusta via; non dare al popolo ciò che in un momento di tensione emotiva pensa di volere, ma riuscire che popolo desideri ciò che deve avere".

    "Parlando, cercai di insistere sul fatto che, sebbene crediamo in un governo della maggioranza, perfino una maggioranza può essere tirannica e che esistono determinati diritti individuali che la maggioranza non dovrebbe mai avere il potere d'eliminare".

    "Francamente penso che non gli feci molta impressione, ma mi ascoltò e sembrò ricettivo. Cercai di presentargli l'idea di fondo di come il suo posto nella storia sarebbe stato determinato dal coraggio e dall'abilità come statista dimostrati in questi momenti. Insistetti dicendo che sarebbe stato facile seguire la plebe, ma alla lunga comportarsi correttamente sarebbe stato meglio per il popolo e, naturalmente, anche per lui. Come ho precedentemente indicato, fu incredibilmente ingenuo riguardo alla minaccia comunista e sembrava non avere nessun timore che nel tempo i comunisti potessero arrivare al potere a Cuba".

    "Nelle nostre conversazioni sul comunismo, cercai nuovamente di proporre gli argomenti nel suo stesso interesse, segnalando che la rivoluzione che aveva diretto, avrebbe potuto volgere contro di lui ed il popolo cubano, se non avesse mantenuto il controllo della situazione e si fosse assicurato che i comunisti non raggiungessero posizioni di potere ed influenza. Al riguardo, non credo di aver ottenuto molto".

    "Insistetti il più possibile sulla necessità di delegare le responsabilità, ma ancora una volta non credo d'essermi fatto capire".

    "Era evidente che mentre parlava di questioni come la libertà di parola, di stampa e di religione, la sua preoccupazione fondamentale era sviluppare dei programmi per il progresso economico. Ripeté più volte che un uomo che lavorava nei campi di canna da zucchero per tre mesi all'anno e soffriva di fame il resto dell'anno, desiderava un lavoro, qualcosa da mangiare, una casa e qualche vestito".

    "Indicò che era molto sciocco che gli Stati Uniti fornissero armi a Cuba o a qualsiasi altro paese dei Carabi. Aggiunse: 'Lo sanno tutti che i nostri paesi non potranno partecipare nella difesa di questo emisfero se si scatenasse una guerra mondiale. Le armi ottenute dai governi di questo emisfero sono utilizzate solamente per reprimere il popolo, proprio come fece Batista per cercare di vincere la rivoluzione. Sarebbe molto meglio se i soldi che voi consegnate ai paesi dell'America Latina per le armi, fossero destinati agli investimenti di capitale'. Devo riconoscere che nell'essenza delle sue argomentazioni incontrai solamente pochi motivi di disaccordo.

    "Sostenemmo una lunga conversazioni sulle vie che Cuba poteva utilizzare per ottenere il capitale d'inversione necessario per il suo sviluppo economico. Insistette che ciò di cui Cuba aveva in primo luogo bisogno, e che lui voleva, non era capitale privato, bensì capitale statale".

Io mi riferivo al capitale del governo cubano.

Lo stesso Nixon riconosce che non ho mai chiesto degli aiuti al governo degli Stati Uniti. Lui si confonde un po' ed afferma:

    "... che il capitale statale era limitato per le molte richieste e per i problemi di bilancio che stavamo affrontando".

È evidente che glielo spiegai, infatti nel suo memorandum segnala immediatamente:

    "... che tutti i paesi d'America e del mondo lottavano per ottenere capitali e che i soldi non sarebbero andati in un paese ove vi fossero stati considerevoli timori che si adottassero politiche discriminanti nei confronti delle imprese private".

    "Anche su questo punto, non credo di essere riuscito a fare molto".

    "Cercai con molto tatto di suggerire a Castro che Muñoz Marín aveva fatto a Porto Rico un magnifico lavoro per ciò che riguardava l'entrata di capitale privato ed, in generale, l'aumento del livello di vita del suo popolo e che Castro avrebbe potuto inviare a Porto Rico uno dei suoi principali consulenti economici per conversare con Muñoz Marín. Questo suggerimento non lo entusiasmò molto e segnalò che il popolo cubano era "molto nazionalista" e avrebbe visto con sospetto qualsiasi programma intrapreso in un paese considerato una 'colonia' degli Stati Uniti".

    "Sono propenso a pensare che la vera ragione del suo comportamento, è che semplicemente non si trovava d'accordo con la ferma posizione di Muñoz a difesa dell'impresa privata e non voleva nessun consiglio che potesse allontanarlo dal suo obbiettivo d'indirizzare Cuba verso un'economia più socialista".

    "Negli Stati Uniti non si dovrebbe parlare tanto dei suoi timori su ciò che i comunisti potrebbero fare a Cuba o in altri paesi dell'America Latina, dell'Asia o dell'Africa".

    "Cercai inoltre di specificare la nostra posizione sul comunismo, segnalando che il comunismo era qualcosa di più di un semplice concetto e che i suoi agenti erano pericolosamente efficaci nell'impadronirsi del potere e stabilire delle dittature".

    "Rimane da sottolineare che non fece alcuna domanda riguardo la quota dello zucchero e nemmeno parlò specificatamente dell'aiuto economico".

    "La mia valutazione nei suoi confronti come essere umano è in un certo modo ambigua. Un dato di cui possiamo essere sicuri, è che possiede quelle qualità indefinite che lo rendono un leader. Indipendentemente da ciò che possiamo pensare di lui, sarà un grande fattore nello sviluppo di Cuba e molto probabilmente negli affari latinoamericani in generale. Sembra essere sincero, però, o è incredibilmente ingenuo rispetto al comunismo, oppure si trova sotto la tutela comunista".

    "Dato però che ha conquistato la leadership, di cui ho parlato, l'unica cosa che possiamo fare è cercare almeno d'orientarlo nella giusta direzione".

Finisce così il suo memorandum confidenziale per la Casa Bianca.

Quando Nixon iniziava a parlare, non c'era chi lo fermasse. Aveva l'abitudine di fare delle prediche ai rappresentanti latinoamericani. Non aveva con se degli appunti su ciò che pensava di dire, né prendeva nota di quello che diceva. Rispondeva a domande che non gli venivano fatte. Inseriva dei temi partendo solamente dalle opinioni a priori che aveva dell'interlocutore. Nemmeno un alunno delle elementari spera di ricevere tutte insieme così tante lezioni sulla democrazia, l'anticomunismo e le altre materie sull'arte di governo. Era un fanatico del capitalismo sviluppato e del suo dominio del mondo come diritto naturale. Idealizzava il sistema. Non intendeva altro e nemmeno esisteva la benché minima possibilità di comunicare con lui.

La carneficina iniziò con il governo di Eisenhower e di Nixon. Non si spiega perché Kissinger esclamò testualmente che

    "... correrebbe del sangue se si sapesse per esempio che Robert Kennedy, Procuratore Generale, aveva diretto personalmente l'assassinio di Fidel Castro".

Il sangue era corso prima. Quello che fecero le altre amministrazioni, salvo eccezioni, fu seguire la stessa politica.

In un memorandum datato 11 dicembre 1959, il capo della Divisione dell'Emisfero Occidentale della CIA, J.C. King, dice testualmente:

    "Analizzare minuziosamente la possibilità d'eliminare Fidel Castro. […] Molte persone ben informate considerano che la scomparsa di Fidel accelererebbe molto la caduta del governo..."

Come riconosciuto dalla CIA e dal Comitato del Senato Church nel 1975, i piani omicidi sono nati nel 1960, quando il proposito di distruggere la Rivoluzione cubana fu pianificato nel programma presidenziale del marzo dello stesso anno. Il memorandum elaborato da J.C. King l'11 dicembre 1959, fu consegnato al Direttore Generale dell'Agenzia, Allen Dulles, con una nota che richiedeva espressamente l'approvazione di queste ed altre misure. Furono tutte accettate ed approvate, specialmente la proposta d'assassinio, come riflette la seguente nota del documento, firmata da Allen Dulles, e che porta la data del giorno dopo, il 12 dicembre:

    "S'approva la raccomandazione contenuta nel paragrafo 3".

Nel progetto del libro, contenente una dettagliata analisi dei documenti declassificati, elaborato da Pedro Álvarez-Tabío, Direttore dell'Ufficio Storico del Consiglio di Stato, s'informa che

    "... fino al 1993 gli organi di Sicurezza dello Stato cubano avevano scoperto e neutralizzato un totale di 627 cospirazioni contro la vita del Comandante in Capo Fidel Castro. Questa cifra comprende, sia i piani giunti in qualche modo ad un fase esecutiva concreta, sia quelli che sono stati neutralizzati in una tappa iniziale, oltre ad altri tentativi che, per varie ragioni e motivi, sono stati resi pubblici negli stessi Stati Uniti. Non include una numero di casi non accertati, poiché si dispone solamente dell'informazione testimoniale di alcuni dei partecipanti e, naturalmente, i piani successivi al 1993".

Precedentemente, grazie al rapporto del colonnello Jack Hawkins, capo paramilitare della CIA durante i preparativi dell'invasione della Baia dei Porci, si è potuto conoscere che

    "... lo Stato Maggiore paramilitare studiò la possibilità d'organizzare una forza d'assalto di maggior impatto rispetto alla piccola forza di contingenza anteriormente pianificata".

    "Si pensò che questa forza sarebbe sbarcata a Cuba successivamente alla creazione di un'effettiva attività di resistenza, comprendente una forza guerrigliera operativa. Si deve segnalare che durante questo periodo le forze della guerriglia stavano operando con successo nell'Escambray. Si valutò che lo sbarco delle forze d'assalto, dopo avere raggiunto una generalizzata attività di resistenza, avrebbe accelerato un sollevamento generale, aumentando le diserzioni all'interno delle forze armate di Castro e contribuendo considerevolmente alla sua caduta".

    "Il concetto dell'impiego della forza in un assalto anfibio/aerotrasportato fu analizzato nelle riunioni del Gruppo Speciale nei mesi di novembre e dicembre del 1960. Sebbene il gruppo non adottò una posizione definitiva sull'impiego di detta forza, nemmeno si oppose al suo sviluppo per un possibile utilizzo. Il presidente Eisenhower fu informato di tale idea dai rappresentanti della CIA alla fine di novembre di quell'anno. Il Presidente manifestò il proprio desiderio di continuare energicamente in tutte le attività già intraprese dai dipartimenti competenti".

Quali furono le informazioni di Hawkins riguardanti

    "... i risultati del programma delle operazioni segrete contro Cuba dal settembre 1960 all'aprile 1961"?

Niente meno di ciò che segue:

    a. Introduzione degli Agenti Paramilitari.

      Sono stati introdotti nel paese obbiettivo, settanta agenti paramilitari addestrati, compresi diciannove operatori radio. Diciassette operatori radio sono riusciti a stabilire comunicazioni con gli uffici centrali della CIA, sebbene alcuni siano stati successivamente catturati o abbiano perduto la propria attrezzatura.

    b. Operazioni di Rifornimento Aereo.

      Queste operazioni non hanno avuto successo. Delle 27 missioni tentate, solamente quattro hanno raggiunto l'obbiettivo desiderato. I piloti cubani hanno subito dimostrato di non possedere le necessarie capacità per questo tipo d'operazione. Il Gruppo Speciale ha negato l'autorizzazione per contrattare piloti nordamericani per queste emissioni, sebbene sia stata autorizzata la contrattazione dei piloti per un uso eventuale.

    c. Operazioni di Rifornimento Marittimo.

      Queste operazioni hanno raggiunto un considerevole successo. Le imbarcazioni in servizio da Miami a Cuba hanno consegnato oltre 40 tonnellate di armi, esplosivi ed attrezzature militari, ed hanno infiltrato e fatto uscire un considerevole numero d'effettivi. Alcune delle armi consegnate sono state utilizzate per rifornire parzialmente 400 guerriglieri, che hanno operato per un considerevole lasso di tempo nell'Escambray, provincia di Las Villas. La maggioranza dei sabotaggi perpetrati all'Avana ed in altri luoghi sono stati realizzati con materiale rifornito in questo modo.

    d. Sviluppo dell'Attività Guerrigliera.

      Gli agenti infiltrati a Cuba sono riusciti a sviluppare un'ampia organizzazione clandestina che s'estendeva dall'Avana al resto delle province. Ciò nonostante, solamente nell'Escambray è esistita un'attività guerrigliera veramente effettiva, dove si stima che un numero variabile da 600 a 1000 mal equipaggiati guerriglieri, organizzati in bande da 50 a 200 uomini, hanno operato con successo per oltre sei mesi. Un coordinatore per le azioni nell'Escambray, addestrato dalla CIA, è entrato clandestinamente a Cuba, riuscendo a raggiungere la zona dove si trovava la guerriglia, ma è stato subito catturato e giustiziato rapidamente. Altre piccole unità guerrigliere operavano occasionalmente nelle province di Pinar del Río ed in Oriente, ma non hanno raggiunto risultati significativi. Gli agenti hanno riferito che vi erano molti uomini disarmati in tutte le province disposti a partecipare all'attività guerrigliera se in possesso di un'arma.

    e. Sabotaggio.

      (1) Tra l'ottobre del 1960 al 15 aprile 1961, l'attività di sabotaggio è stata la seguente:

        (a). Sono stati appiccati 800 incendi, distruggendo circa 300.000 tonnellate di canna da zucchero.

        (b). Sono stati provocati circa altri 150 incendi contro 42 capanne per la raccolta del tabacco, due impianti per la carta, una raffineria per lo zucchero, due impianti per la raccolta del latte, quattro magazzini e 21 abitazioni di comunisti.

        (c). Sono stati effettuati circa 110 attentati dinamitardi contro uffici del Partito Comunista, la centrale elettrica dell'Avana, due magazzini, la stazione ferroviaria, la stazione degli autobus, caserme della milizia e linee ferroviarie, tra gli altri.

        (d). Sono state collocati nella provincia dell'Avana circa 200 ordigni esplosivi.

        (e). Sono stati deragliati sei treni, sono stati distrutti una stazione ed i cavi di microonda e numerosi trasformatori elettrici.

        (f). Un comando ha attaccato di sorpresa Santiago dal mare, mettendo fuori servizio la raffineria per circa una settimana.

Fin qui ciò che si conosce grazie alle informazioni di Hawkins. Chiunque può comprendere che duecento bombe nella principale provincia di un paese sottosviluppato che viveva della monocultura della canna da zucchero, del lavoro semischiavo e della quota dello zucchero, guadagnata come fornitore sicuro per quasi due secoli, e le cui terre e fabbriche di zucchero di maggior capacità e produzione erano proprietà di grande imprese nordamericane, costituivano un brutale atto di tirannia contro il popolo cubano. Aggiungetevi le altre attività realizzate.

Non dico altro. Per oggi basta.


    Fidel Castro Ruz
    7 luglio 2007
    3:00 p.m.



Pagina inviata dall'Ambasciata di Cuba in Italia
(9 luglio 2007)

Castellano

Los fundamentos de la máquina de matar

Los que constituyeron la nación norteamericana no pudieron imaginar que lo que entonces proclamaban llevaba, como cualquier otra sociedad histórica, los gérmenes de su propia transformación.

En la atractiva Declaración de Independencia de 1776, que el pasado miércoles cumplió 231 años, se afirmaba algo que de una forma u otra nos cautivó a muchos:

    "Sostenemos como verdades evidentes que todos los hombres nacen iguales; que a todos les confiere su Creador ciertos derechos inalienables entre los cuales se cuentan la vida, la libertad y la consecución de la felicidad; que para asegurar estos derechos se instituyen entre los hombres gobiernos cuyos justos poderes derivan del consentimiento de los gobernados; que siempre que una forma de gobierno tienda a destruir esos fines, el pueblo tiene derecho a reformarla o abolirla, e instituir un nuevo gobierno que se funde en dichos principios y organice sus poderes en la forma que a su juicio garantice mejor su seguridad y felicidad".

Era el fruto de la influencia de los mejores pensadores y filósofos de una Europa agobiada por el feudalismo, los privilegios de la aristocracia y las monarquías absolutas.

Juan Jacobo Rousseau afirmó en su famoso Contrato Social:

    "El más fuerte no es nunca suficientemente fuerte para ser el amo, si no transforma la fuerza en derecho y la obediencia en deber".

    […] "La fuerza es un poder físico; no veo qué moralidad pueda derivarse de sus efectos. Ceder a la fuerza es un acto de necesidad, no de voluntad".

    […] "Renunciar a la libertad es renunciar a la calidad del hombre, a los derechos de la Humanidad, incluso a sus deberes. No hay recompensa posible para aquel que renuncia a todo".

En las 13 colonias independizadas existían adicionalmente formas de esclavitud tan atroces como en los tiempos antiguos. Hombres y mujeres eran vendidos en subasta pública. La emergente nación surgía con religión y cultura propias. Los impuestos sobre el té fueron la chispa que desató la rebelión.

En aquellas infinitas tierras los esclavos siguieron siéndolo durante casi 100 años, y después de dos siglos sus descendientes padecen las secuelas. Había comunidades indígenas que eran los legítimos pobladores naturales, bosques, agua, lagos, rebaños de millones de bisontes, especies naturales de animales y plantas, abundantes y variados alimentos. No se conocían los hidrocarburos ni los enormes despilfarros energéticos de la sociedad actual.

La misma declaración de principios, si se hubiese proclamado en los países abarcados por el desierto del Sahara, no habría creado un paraíso de inmigrantes europeos. Hoy habría que hablar de los inmigrantes de los países pobres, que por millones cruzan o tratan de cruzar las fronteras de Estados Unidos cada año en busca de trabajo y no tienen derecho ni a la paternidad de sus hijos si nacen en el territorio norteamericano.

La Declaración de Filadelfia se redacta en una época en que sólo existían pequeñas imprentas y las cartas tardaban meses en llegar de un país a otro. Podían contarse uno a uno los pocos que sabían leer o escribir. Hoy la imagen, la palabra, las ideas llegan en fracciones de segundo de un rincón a otro del planeta globalizado. Se crean reflejos condicionados en las mentes. No puede hablarse del derecho al uso sino al abuso de la libre expresión y la enajenación masiva. A la vez, con un pequeño equipo electrónico cualquier persona, en época de paz, puede hacer llegar al mundo sus ideas sin que lo autorice Constitución alguna. La lucha sería de ideas, en todo caso masa de verdades contra masa de mentiras. Las verdades no necesitan publicidad comercial. Nadie podría estar en desacuerdo con la Declaración de Filadelfia y el Contrato Social de Juan Jacobo Rousseau. En ambos documentos se sustenta el derecho a luchar contra la tiranía mundial establecida.

¿Podemos ignorar las guerras de saqueo y las carnicerías que se les imponen a los pueblos pobres, que constituyen las tres cuartas partes del planeta? ¡No! Son muy propias del mundo actual y de un sistema que no puede sostenerse de otra forma. A un costo político, económico y científico enorme, la especie humana es conducida al borde del abismo.

Mi objetivo no es reiterar conceptos mencionados en otras reflexiones. Partiendo de hechos sencillos, mi propósito es ir demostrando el inmenso grado de hipocresía y la ausencia total de ética que caracterizan las acciones, caóticas por naturaleza, del gobierno de Estados Unidos.

En "La máquina de matar", publicada el pasado domingo, dije que el intento de envenenarme a través de un funcionario del gobierno cubano que tenía acceso a mi oficina, lo conocimos por uno de los últimos documentos desclasificados de la CIA. Era una persona sobre la que debía buscar información, pues no tenía a mano los elementos de juicio necesarios. De hecho pedía excusas si lastimaba los sentimientos de algún descendiente, fuera o no culpable la persona mencionada. Continué después analizando otros temas importantes de las revelaciones de la CIA.

En los primeros tiempos de la Revolución yo visitaba casi todos los días el recién creado Instituto Nacional de la Reforma Agraria, ubicado donde se encuentra hoy el Ministerio de las Fuerzas Armadas Revolucionarias. No se podía contar todavía con el Palacio de la Revolución, donde entonces radicaba el Palacio de Justicia. Su construcción fue un suculento negocio del régimen derrocado. La ganancia principal consistía en el incremento del valor de las tierras, de las que habían sido desalojadas miles de personas a las que yo, como abogado recién graduado, defendí gratuitamente durante meses antes del golpe de estado de Batista. Lo mismo ocurría con otras edificaciones lujosas que en muchos casos estaban por terminarse.

Desde las oficinas del INRA escuché, el 4 de marzo de 1960, la estremecedora explosión de La Coubre y observé la oscura columna de humo que emergía del puerto de La Habana. Vino rápido a mi mente la idea del barco cargado de granadas antitanques y antipersonales que podían ser lanzadas por los fusiles FAL adquiridos en Bélgica, país nada sospechoso de comunismo. De inmediato bajé para dirigirme al lugar. En el trayecto, por el ruido y el vibrar del tránsito, no pude percatarme de la segunda explosión que se produjo. Más de 100 personas murieron y decenas de ellas quedaron mutiladas. Del sepelio de las víctimas nació, espontáneo, el grito de Patria o Muerte.

Se conoce que todo fue minuciosamente programado desde el puerto de embarque por la Agencia Central de Inteligencia. El barco había transitado por los puertos de Le Havre, Hamburgo y Amberes. En este último, de Bélgica, se cargaron las granadas. En las explosiones murieron también varios tripulantes franceses.

¿Por qué, en nombre de la libertad de información, no se desclasifica un solo documento que nos diga cómo la CIA hace ya casi medio siglo hizo estallar el vapor La Coubre y cortar el suministro de armas belgas, que la propia agencia admitiera el 14 de junio de 1960 era una preocupación muy importante de Estados Unidos?

¿A qué dedicaba yo mi tiempo en los días febriles que precedieron al ataque por Girón?

La primera limpieza en grande del Escambray tuvo lugar en los meses finales de 1960 y comienzos de 1961. En la misma participaron más de 50 mil hombres, casi todos procedentes de las antiguas provincias de La Habana y Las Villas.

Un río de armas estaba llegando en barcos de la URSS que no estallaban al llegar a los puertos. Fue inútil intentar comprarlas de otra procedencia y así evitar los pretextos que Estados Unidos usó para agredir a Guatemala, lo que costó a lo largo del tiempo, entre muertos y desaparecidos, más de cien mil vidas a ese país.

Adquirimos en Checoslovaquia las armas ligeras y un número de antiaéreas de 20 milímetros y doble cañón. Los tanques con cañones de 85 milímetros, artillería blindada de 100, cañones antitanques de 75, morteros, obuses y cañones de grueso calibre, hasta los de 122 milímetros, y antiaéreas ligeras y pesadas, venían directamente de la URSS.

Un año por lo menos habría tardado la formación del personal necesario para utilizar aquellas armas siguiendo métodos tradicionales. Se llevó a cabo en cuestión de semanas. A esa tarea fundamental dedicábamos prácticamente el ciento por ciento de nuestro tiempo casi dos años después del triunfo de la Revolución.

Conocíamos la inminencia del ataque, pero no cuándo y cómo se produciría. Todos los posibles puntos de acceso estaban defendidos o vigilados. Los jefes, en su sitio: Raúl en Oriente, Almeida en el centro y el Che en Pinar del Río. Mi puesto de mando estaba en la capital: una antigua casa burguesa adaptada para ello en la margen derecha más alta del río Almendares, próximo al punto donde desemboca al mar.

Era ya de día, el 15 de abril de 1961, y desde las primeras horas de la madrugada allí estaba yo recibiendo noticias de Oriente, adonde llegó, procedente del Sur de Estados Unidos, un barco bajo el mando de Nino Díaz, con un grupo de contrarrevolucionarios a bordo vestidos de uniforme verde olivo similar al de nuestras tropas, para realizar un desembarco por la zona de Baracoa. Lo hacían como maniobra de engaño respecto al sitio exacto de la dirección principal, para crear la mayor confusión posible. El buque estaba ya a tiro directo de los cañones antitanques, en espera del desembarco, que al fin no se realizó.

A la vez informaban que el 14 por la noche había estallado, en vuelo de exploración sobre la zona del posible desembarco, uno de nuestros tres cazas a chorro, de entrenamiento pero capaces de combatir, sin duda una acción yanqui desde la Base Naval de Guantánamo u otro punto del mar o del aire. No había radares para determinar con exactitud lo ocurrido. Así murió el destacado piloto revolucionario Orestes Acosta.

Desde el puesto de mando mencionado me tocó ver los B-26 que volaban casi rasantes sobre el lugar y, a los pocos segundos, escuchar los primeros cohetes lanzados sorpresivamente contra nuestros jóvenes artilleros, que en gran número se entrenaban en la base aérea de Ciudad Libertad. La respuesta de aquellos valientes fue casi instantánea.

No tengo, por otro lado, la menor duda de que Juan Orta fue traidor. Los datos pertinentes sobre su vida y conducta están donde deben estar: en los archivos del Departamento de Seguridad del Estado, que nació por aquellos años bajo el fuego graneado del enemigo. Los hombres de mayor conciencia política fueron asignados a esa actividad.

Orta había recibido las pastillas envenenadas que propusieron Giancana y Santos Trafficante a Maheu. La conversación de este último con Roselli, que haría el papel de contacto con el crimen organizado, tuvo lugar el 14 de septiembre de 1960, meses antes de la elección y toma de posesión de Kennedy.

El traidor Orta no tenía méritos especiales. Mantuve correspondencia con él cuando buscábamos el apoyo de emigrantes y exiliados en Estados Unidos. Era apreciado por su aparente preparación y su actitud servicial. Para eso tenía especial habilidad. Después del triunfo de la Revolución, en un importante período tenía con frecuencia acceso a mí. Partiendo de las posibilidades que entonces tuvo, creyeron que podía introducir el veneno en un refresco o un jugo de naranja.

Había recibido dinero del crimen organizado por ayudar supuestamente a reabrir los casinos de juego. Nada tuvo que ver con esas medidas. Fuimos nosotros quienes tomamos la decisión. La orden inconsulta y no colegiada de Urrutia de cerrarlos creaba caos y promovía las protestas de miles de trabajadores del sector turístico y comercial, cuando el desempleo era muy alto.

Tiempo después, los casinos fueron cerrados definitivamente por la Revolución.

Cuando le entregan el veneno, al revés de lo que ocurría en los primeros tiempos, eran muy pocas las posibilidades de que Orta se encontrara conmigo. Yo estaba totalmente ocupado en las actividades relatadas anteriormente.

Sin decir una palabra a nadie sobre los planes enemigos, el 13 de abril de 1961, dos días antes del ataque a nuestras bases aéreas, Orta se asiló en la embajada de Venezuela, que Rómulo Betancourt había puesto al servicio incondicional de Washington. A los numerosos contrarrevolucionarios asilados allí no se les concedió permiso de salida hasta que amainaron las brutales agresiones armadas de Estados Unidos contra Cuba.

Ya habíamos tenido que lidiar en México con la traición de Rafael del Pino Siero, quien habiendo desertado cuando faltaban días para nuestra salida hacia Cuba, fecha que él ignoraba, vendió a Batista por 30 mil dólares importantes secretos que tenían que ver con una parte de las armas y la embarcación que nos transportaría a Cuba. Con refinada astucia dividió la información para ganar confianza y garantizar el cumplimiento de cada parte. Primero recibiría algunos miles de dólares por la entrega de dos depósitos de armas que conocía. Una semana después entregaría lo más importante: la embarcación que nos traería a Cuba y el punto de embarque. A todos se nos podía capturar junto con las demás armas, pero antes le debían entregar la totalidad del dinero. Algún experto yanqui seguramente lo asesoró.

A pesar de esa traición, partimos de México en el yate "Granma" en la fecha prevista. Algunas personas que nos apoyaban creían que Pino jamás traicionaría, que su deserción se debía al disgusto por la disciplina y el entrenamiento que le exigí. No diré cómo supe de la operación urdida entre él y Batista, pero la conocí con precisión y adoptamos las medidas pertinentes para proteger el personal y las armas en el tránsito hacia Tuxpan, punto de partida. No costó un centavo aquella valiosa información.

Cuando finalizó la última ofensiva de la tiranía en la Sierra Maestra, tuvimos que lidiar igualmente con los trucos temerarios de Evaristo Venereo, un agente del régimen que, disfrazado de revolucionario, trató de infiltrarse en México. Era el enlace con la policía secreta de aquel país, órgano muy represivo al que asesoró en el interrogatorio de Cándido González, a quien pusieron en ese momento una venda en los ojos. Era uno de los pocos compañeros que conducía el carro en que yo me movía allí, militante heroico asesinado después del desembarco.

Evaristo volvió después a Cuba. Tenía el encargo de asesinarme cuando nuestras fuerzas avanzaban ya hacia Santiago de Cuba, Holguín, Las Villas y el Occidente de nuestro país. Esto se conoció en detalles cuando se ocuparon los archivos del Servicio de Inteligencia Militar. Está documentado.

He sobrevivido a numerosos planes de asesinato. Sólo el azar y el hábito de observar cuidadosamente cada detalle nos permitieron sobrevivir a los ardides de Eutimio Guerra en los días iniciales y más dramáticos de la Sierra Maestra, a todos los que después fueron conocidos como jefes de la Revolución triunfante: Camilo, el Che, Raúl, Almeida, Guillermo. Habríamos muerto posiblemente cuando estuvieron a punto de exterminarnos con un ridículo cerco de nuestro desprevenido campamento, guiados por el traidor. En el breve choque que se produjo, tuvimos una dolorosa baja, la de un obrero azucarero negro maravilloso y activo combatiente, Julio Zenón Acosta, quien se adelantó unos pasos y cayó a mi lado. Otros sobrevivieron al mortal peligro y cayeron combatiendo posteriormente, como Ciro Frías, excelente compañero y prometedor jefe, en Imías, en el Segundo Frente; Ciro Redondo, que combatía fieramente al enemigo con fuerzas de la columna del Che, en Marverde, y Julito Díaz que, disparando sin cesar su ametralladora calibre 30, murió a pocos pasos de nuestro puesto de mando en el ataque a El Uvero.

Estábamos emboscados en un lugar bien escogido, esperando al enemigo, porque nos habíamos percatado del movimiento que iba a realizar ese día. Nuestra atención se descuida solo unos minutos cuando llegaron dos hombres del grupo, que habíamos enviado como exploradores horas antes de tomar la decisión de movernos, y regresaron sin información alguna.

Eutimio guiaba al enemigo con guayabera blanca, lo único que se veía en el bosque del Alto de Espinosa, donde lo estábamos esperando. Batista tenía elaborada la noticia de la liquidación del grupo, que era segura, y citada la prensa. Por exceso de confianza, habíamos subestimado en realidad al enemigo, que se sustentaba en las debilidades humanas. Éramos en ese momento alrededor de 22 hombres bien curtidos y escogidos. Ramiro, lesionado en una pierna, se recuperaba lejos de nosotros.

De gran golpe, por el movimiento que realizamos a última hora, se libró ese día la columna de más de 300 soldados que avanzaban en fila india por el escarpado y boscoso escenario.

¿Cómo funcionó aquella máquina frente a la Revolución en Cuba?

En fecha tan temprana como el mes de abril de 1959 visité Estados Unidos invitado por el Club de Prensa de Washington. Nixon se dignó recibirme en su oficina particular. Después afirma que yo era un ignorante en materia de economía.

Tan consciente estaba yo de esa ignorancia, que matriculé tres carreras universitarias para obtener una beca que me permitiera estudiar Economía en Harvard. Tenía vencidas ya y examinadas todas las asignaturas de la carrera de Derecho, Derecho Diplomático y Ciencias Sociales. Me faltaban sólo dos asignaturas por examinar: Historia de las Doctrinas Sociales e Historia de las Doctrinas Políticas. Las había estudiado cuidadosamente. Ese año ningún otro alumno hizo el esfuerzo. Estaba desbrozado el camino, pero los acontecimientos se precipitaban en Cuba y comprendí que no era el momento de recibir una beca y estudiar Economía.

Fui a Harvard de visita a fines de 1948. De regreso a Nueva York, adquirí una edición de El Capital en inglés, para estudiar la obra insigne de Marx y de paso profundizar en el dominio de ese idioma. No era un militante clandestino del Partido Comunista, como Nixon con su mirada pícara y escudriñadora llegó a pensar. Si algo puedo asegurar, y lo descubrí en la Universidad, es que fui primero comunista utópico y después un socialista radical, en virtud de mis propios análisis y estudios, y dispuesto a luchar con estrategia y táctica adecuadas.

Mi único reparo al hablar con Nixon era la repugnancia a explicar con franqueza mi pensamiento a un vicepresidente y probable futuro Presidente de Estados Unidos, experto en concepciones económicas y métodos imperiales de gobierno en los que hacía rato yo no creía.

¿Cuál fue la esencia de aquella reunión que duró horas, según cuenta el autor del memorando desclasificado que la refiere? Sólo dispongo del recuerdo de lo ocurrido. De ese memorando he seleccionado los párrafos que mejor explican a mi juicio las ideas de Nixon.

    "Castro estaba particularmente preocupado acerca de si pudiera haber irritado al senador Smathers por los comentarios que hizo respecto a él. Al principio de la conversación le aseguré que Meet the Press era uno de los programas más difíciles en que un funcionario público podría participar y que él lo había hecho extremadamente bien ? en particular teniendo en cuenta el hecho de que tuvo la valentía de hablar en inglés sin utilizar un traductor".

    "También era evidente que en lo concerniente a su visita a Estados Unidos, su interés fundamental ‘no era lograr un cambio en la cuota azucarera ni obtener un préstamo del gobierno, sino ganar el apoyo de la opinión pública estadounidense para su política".

    "Fue su casi subordinación esclava a la opinión mayoritaria prevaleciente— a saber, la voz de la plebe— más que su ingenua actitud hacia el comunismo y su obvia falta de comprensión de los más elementales principios económicos, lo que más me preocupó al evaluar qué clase de líder sería a la larga. Esa es la razón por la que pasé todo el tiempo que pude tratando de insistir en que si bien él tenía el gran don del liderazgo, la responsabilidad del líder era no seguir siempre la opinión pública, sino ayudar a encaminarla por la vía correcta, no dar al pueblo lo que piensa que quiere en un momento de tensión emocional, sino lograr que el pueblo quiera lo que debe tener".

    "Cuando me tocó hablar, traté de insistir en el hecho de que aunque nosotros creemos en el gobierno de la mayoría, incluso la mayoría puede ser tiránica y que hay ciertos derechos individuales que la mayoría nunca debería tener el poder de destruir".

    "Francamente no creo haber causado mucho efecto en él, pero sí me escuchó y parecía receptivo. Traté de presentarle la idea básicamente en términos de cómo su lugar en la historia estaría determinado por la valentía y la habilidad de estadista que demostrara en estos momentos. Insistí en que lo más fácil sería seguir a la plebe, pero que hacer lo correcto a la larga sería mejor para el pueblo y, por supuesto, mejor para él también. Como ya dije, fue increíblemente ingenuo con respecto a la amenaza comunista y parecía no tener ningún temor de que a la larga los comunistas pudieran llegar al poder en Cuba".

    "En nuestras conversaciones sobre el comunismo, nuevamente traté de presentarle los argumentos a la luz de su interés propio y señalar que la revolución que él había dirigido, podría volverse en su contra y contra el pueblo cubano a menos que mantuviera el control de la situación y se asegurara de que los comunistas no alcanzaran las posiciones de poder e influencia. En ese sentido, no creo haber logrado mucho".

    "Insistí lo más posible en la necesidad de que delegara responsabilidades, pero una vez más no creo que me haya hecho entender".

    "Era evidente que mientras hablaba de cuestiones como la libertad de palabra, de prensa y religión, su preocupación fundamental era desarrollar programas para el progreso económico. Repitió una y otra vez que un hombre que trabajaba en los cañaverales durante tres meses al año y pasaba hambre el resto del año, quería un trabajo, algo que comer, una casa y alguna ropa".

    "Indicó que era una gran tontería que Estados Unidos entregase armas a Cuba o a cualquier otro país del Caribe. Agregó: ‘todo el mundo sabe que nuestros países no van a poder participar en la defensa de este hemisferio en caso de que estalle una guerra mundial. Las armas que obtienen los gobiernos en este hemisferio sólo se utilizan para reprimir al pueblo, tal y como hizo Batista para tratar de acabar con la revolución. Sería mucho mejor que el dinero que ustedes entregan a los países de América Latina para armas se destinase a inversiones de capital.’ Debo reconocer que en esencia apenas encontré en sus argumentos motivos para discrepar".

    "Sostuvimos una larga conversación sobre las vías que Cuba podría utilizar para obtener el capital de inversión necesario para su desarrollo económico. Insistió en que básicamente lo que Cuba necesitaba y él quería no era capital privado, sino capital del gobierno".

Yo me refería a capital del gobierno de Cuba.

El propio Nixon reconoce que nunca solicité recursos al gobierno de Estados Unidos. Él se confunde un poco y afirma:

    "... que el capital del gobierno estaba limitado debido a las muchas demandas y a los problemas presupuestarios que estábamos confrontando".

Es evidente que se lo expliqué porque de inmediato señala en su memorando:

    "… que todos los países de América y del mundo pugnaban por obtener capital y que el dinero no iría a parar a un país sobre el que hubiera considerables temores de que se adoptaran políticas que discriminarían a las empresas privadas".

    "De nuevo, en este punto, tampoco creo haber logrado gran cosa".

    "Con mucho tacto traté de insinuarle a Castro que Muñoz Marín había hecho un magnífico trabajo en Puerto Rico en lo que respecta a atraer capital privado y en general a elevar el nivel de vida de su pueblo, y que Castro muy bien podría enviar a Puerto Rico a uno de sus principales asesores económicos para que conversara con Muñoz Marín. Esta sugerencia no lo entusiasmó mucho y señaló que el pueblo cubano era ‘muy nacionalista’ y sospecharía de cualquier programa iniciado en un país considerado como una ‘colonia’ de los Estados Unidos".

    "Me inclino a pensar que la verdadera razón de su actitud es simplemente que no estaba de acuerdo con la firme posición de Muñoz como defensor de la empresa privada y no quería consejos que pudieran desviarlo de su objetivo de encaminar a Cuba hacia una economía más socialista".

    "En los Estados Unidos no debería hablarse tanto sobre sus temores de lo que podrían hacer los comunistas en Cuba o en algún otro país de América Latina, Asia o África".

    "También traté de situar en contexto nuestra actitud hacia el comunismo al señalar que el comunismo era algo más que simplemente un concepto y que sus agentes eran peligrosamente eficaces para tomar el poder y establecer dictaduras".

    "Cabe destacar que no hizo ninguna pregunta sobre la cuota azucarera y ni siquiera mencionó específicamente la ayuda económica".

    "Mi valoración de él como hombre es de cierta forma ambivalente. De lo que sí podemos estar seguros es de que posee esas cualidades indefinibles que lo hacen ser líder de los hombres. Independientemente de lo que pensemos sobre él, será un gran factor en el desarrollo de Cuba y muy posiblemente en los asuntos de América Latina en general. Parece ser sincero, pero o bien es increíblemente ingenuo acerca del comunismo o está bajo la tutela comunista".

    "Pero como tiene el poder de liderazgo al que me he referido, lo único que pudiéramos hacer es al menos tratar de orientarlo hacia el rumbo correcto".

Así finaliza su memorando confidencial a la Casa Blanca.

Cuando Nixon comenzaba a hablar, no había quién lo parara. Tenía el hábito de sermonear a los mandatarios latinoamericanos. No llevaba apuntes de lo que pensaba decir, ni tomaba nota de lo que decía. Respondía preguntas que no se le hacían. Incluía temas a partir solo de las opiniones previas que tenía sobre el interlocutor. Ni un alumno de enseñanza primaria espera recibir tantas clases juntas sobre democracia, anticomunismo y demás materias en el arte de gobernar. Era fanático del capitalismo desarrollado y su dominio del mundo por derecho natural. Idealizaba el sistema. No concebía otra cosa, ni existía la más mínima posibilidad de comunicarse con él.

La matanza comenzó con la administración de Eisenhower y Nixon. No hay forma de explicar por qué Kissinger exclamó textualmente que

    "... correría la sangre si se supiera por ejemplo que Robert Kennedy, Fiscal General, había dirigido personalmente el asesinato de Fidel Castro".

La sangre había corrido antes. Lo que hicieron las demás administraciones, salvo excepciones, fue seguir la misma política.

En un memorando fechado el 11 de diciembre de 1959, el jefe de la División del Hemisferio Occidental de la CIA J. C. King dice textualmente:

    "Analizar minuciosamente la posibilidad de eliminar a Fidel Castro […] Muchas personas bien informadas consideran que la desaparición de Fidel aceleraría grandemente la caída del gobierno…"

Como fue reconocido por la CIA y el Comité Senatorial Church en 1975, los planes de asesinato surgieron en 1960, cuando el propósito de destruir la Revolución cubana quedó plasmado en el programa presidencial de marzo de ese año. El memorando elaborado por J. C. King fue elevado al Director General de la Agencia, Allen Dulles, con una nota que solicitaba expresamente la aprobación de esas y otras medidas.

Todas fueron aceptadas y vistas con agrado, y de modo especial la propuesta de asesinato, como se refleja en la siguiente anotación al documento, firmada por Allen Dulles y fechada un día después, el 12 de diciembre:

    "Se aprueba la recomendación contenida en el párrafo 3".

En un proyecto de libro con análisis detallado de los documentos desclasificados, elaborado por Pedro Álvarez-Tabío, Director de la Oficina de Asuntos Históricos del Consejo de Estado, se informa que

    "... hasta 1993 los órganos de la Seguridad del Estado cubano habían descubierto y neutralizado un total de 627 conspiraciones contra la vida del Comandante en Jefe Fidel Castro. Esta cifra incluye tanto los planes que llegaron a alguna fase de ejecución concreta como aquellos que fueron neutralizados en una etapa primaria, así como otros intentos que por distintas vías y razones han sido revelados públicamente en los propios Estados Unidos. No incluye una cantidad de casos que no pudieron ser verificados por disponerse solamente de información testimonial de algunos participantes, ni por supuesto, los planes posteriores a 1993".

Anteriormente se pudo conocer, por el informe del coronel Jack Hawkins, jefe paramilitar de la CIA durante los preparativos de la invasión por Bahía de Cochinos, que

    "... el Estado Mayor paramilitar estudió la posibilidad de organizar una fuerza de asalto de mayor envergadura que la pequeña fuerza de contingencia planificada anteriormente".

    "Se pensó que esta fuerza desembarcaría en Cuba luego de desarrollarse una efectiva actividad de resistencia, incluidas fuerzas de guerrillas activas. Cabe señalar que durante este período las fuerzas guerrilleras operaban exitosamente en el Escambray. Se concibió que el desembarco de la fuerza de asalto, tras lograrse una actividad de resistencia generalizada, precipitaría un levantamiento general y proliferarían las deserciones entre las fuerzas armadas de Castro lo que podría contribuir considerablemente a su derrocamiento".

    "El concepto para el empleo de la fuerza en un asalto anfibio/aerotransportado se analizó en reuniones del Grupo Especial durante los meses de noviembre y diciembre de 1960. Si bien el grupo no adoptó una decisión definitiva sobre el empleo de dicha fuerza tampoco se opuso a que continuara desarrollándose para su posible uso. El presidente Eisenhower fue informado sobre esta idea a finales de noviembre de ese año por representantes de la CIA. El Presidente manifestó su deseo de que se continuaran enérgicamente todas las actividades que ya estaban desarrollando los departamentos pertinentes".

¿Qué informó Hawkins sobre

    "... los resultados del programa de operaciones encubiertas contra Cuba desde septiembre de 1960 hasta abril de 1961"?

Nada menos que lo siguiente:

    a. Introducción de los Agentes Paramilitares.

      Setenta agentes paramilitares entrenados, incluidos diecinueve operadores de radio, fueron introducidos en el país objetivo. Diecisiete radio operadores lograron establecer circuitos de comunicación con las oficinas centrales de la CIA, aunque algunos fueron capturados más tarde o perdieron sus equipos.

    b. Operaciones de Abastecimiento Aéreo.

      Estas operaciones no tuvieron éxito. De las 27 misiones que se intentaron sólo cuatro lograron los resultados deseados. Los pilotos cubanos demostraron pronto que no tenían las capacidades requeridas para este tipo de operación. El Grupo Especial negó la autorización para contratar pilotos estadounidenses para estas misiones, aunque se autorizó la contratación de pilotos para un uso eventual.

    c. Operaciones de Abastecimiento Marítimo.

      Estas operaciones lograron un éxito considerable. Las embarcaciones que prestaban servicio de Miami a Cuba entregaron más de 40 toneladas de armas, explosivos y equipos militares, e infiltraron y exfiltraron a un gran número de efectivos. Algunas de las armas entregadas se utilizaron para apertrechar parcialmente a 400 guerrilleros que operaron durante un tiempo considerable en el Escambray, provincia de Las Villas. La mayoría de los sabotajes perpetrados en La Habana y otros lugares se realizaron con materiales suministrados de esta manera.

    d. Desarrollo de la Actividad Guerrillera.

      Los agentes infiltrados en Cuba lograron desarrollar una amplia organización clandestina que se extendía desde La Habana hasta el resto de las provincias. Sin embargo, sólo en el Escambray hubo una actividad guerrillera verdaderamente efectiva, donde se estima que entre 600 y 1.000 efectivos guerrilleros mal equipados, organizados en bandas de 50 a 200 hombres, operaron exitosamente durante más de seis meses. Un coordinador para la acción en el Escambray entrenado por la CIA entró a Cuba clandestinamente y logró llegar a la zona en que se encontraba la guerrilla, pero enseguida fue capturado y ejecutado rápidamente. Otras pequeñas unidades guerrilleras operaban en ocasiones en las provincias de Pinar del Río y Oriente, pero no lograron resultados significativos. Los agentes reportaron que había gran cantidad de hombres desarmados en todas las provincias dispuestos a participar en la actividad guerrillera si contaban con armas.

    e. Sabotaje.

      (1) Durante el período de octubre de 1960 al 15 de abril de 1961 la actividad de sabotaje se comportó de la siguiente manera:

        (a). Se destruyeron aproximadamente 300.000 toneladas de caña de azúcar en 800 incendios.

        (b). Se provocaron aproximadamente 150 incendios más, entre otros, contra 42 casas de tabaco, dos plantas de papel, una refinería de azúcar, dos lecherías, cuatro almacenes y 21 casas de comunistas.

        (c). Se perpetraron alrededor de 110 atentados dinamiteros contra oficinas del Partido Comunista, la planta eléctrica de La Habana, dos almacenes, la terminal de ferrocarriles, la terminal de ómnibus, albergues de las milicias y líneas de ferrocarriles, entre otros.

        (d). Se colocaron unos 200 petardos en la provincia de La Habana.

        (e). Se descarrilaron seis trenes, se destruyeron una estación y los cables de microonda y numerosos transformadores de electricidad.

        (f). Un comando lanzó un ataque sorpresivo desde el mar contra Santiago, que dejó fuera de servicio la refinería alrededor de una semana.

Hasta aquí lo que se conoce gracias a la información de Hawkins. Cualquiera puede comprender que doscientas bombas en la provincia principal de un país subdesarrollado que vivía del monocultivo de la caña, trabajo semiesclavo, y de la cuota azucarera, ganada durante casi dos siglos como abastecedor seguro, y cuyas tierras y fábricas de azúcar de mayor capacidad de producción eran propiedad de grandes empresas norteamericanas, constituía un acto brutal de tiranía contra el pueblo cubano. Súmese a esto las demás acciones realizadas.

No digo más. Por hoy basta.




Cuba. Una identità in movimento

Webmaster: Carlo NobiliAntropologo americanista, Roma, Italia

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