Cuba

Una identità in movimento


Il ritiro di Fidel

Fulvio Grimaldi


Il ritiro di Fidel dalle sue cariche per passare a un'altra funzione di analisi e di lotta, quella già anticipata con le numerose "riflessioni" sulle cose di Cuba e del mondo pubblicate nel corso dei diciotto mesi di malattia, ha indubbiamente un effetto profondo sul popolo cubano, come sui sostenitori all'estero di quel popolo e del suo cammino. Per oltre mezzo secolo, Fidel è stato uno dei leader più amati e odiati del '900. Nessuno però ha mai potuto mettere in dubbio, dai giorni della guerra di liberazione sulla Sierra ai decenni si resistenza alle aggressioni e all'embargo Usa, alla pervicace costruzione di una società diversa dal cannibalesco modello liberista-capitalista, l'intelligenza, la coerenza, l'onestà e la profondissima umanità del personaggio. In 600 documentate occasioni la Cia ha tentato di farlo fuori, a Cuba è stata mosso ogni tipo di aggressione, militare, biologica, chimica, terroristica (3000 vittime civili per bombe e attentati eseguiti da agenti della Cia), sono stati lanciati uragani di menzogne e diffamazioni, avidamente e servilmente riprese da una stampa priva di professionalità e dignità, ma niente ha saputo minare l'adesione dei cubani al processo di emancipazione impostato da Fidel e dai suoi compagni, né la fiducia illimitata che nutrono per il loro comandante. Una nazione di 11 milioni di abitanti si è così imposta al rispetto del mondo, ha tenuto in scacco la più grande e aggressiva potenza mondiale, ha sviluppato una forma di democrazia i cui rappresentanti non sono eletti in virtù del loro potere finanziario e propagandistico, ha consolidato diritti umani (sanità, educazione, lavoro, casa, sport) che superano addirittura quelli dei paesi più sviluppati, ha innescato un contagio di liberazione dal colonialismo e dalle dittature delle oligarchie in tutta l'America Latina.

Solo gli sciocchi, i nemici del dubbio, gli integralisti della fede cieca e del panegirico, adorano incondizionatamente ogni aspetto del paese della rivoluzione nazionale e socialista del Che e di Fidel. Solo gli amici veri del percorso cubano e dei suoi soggetti non occultano quello che nell'isola non corrisponde ancora alle grandi aspettative apertesi il 1 gennaio 1959. Sappiamo delle grandiose conquiste, ma non chiudiamo gli occhi sulle cadute, sugli arretramenti, sugli obiettivi mancati. Sappiamo benissimo che Cuba sconta un embargo criminale e genocida, ma non ignoriamo i fenomeni di appesantimento burocratico, di microcorruzione diffusa, i cattivi costumi introdotti dal turismo, voce fondamentale dell'economia cubana, i problemi di classe che nascono della doppia valuta, una per il cubano comune, l'altro per chi può, il ritardo agricolo e nella produzione industriale di base. Tutti fenomeni sui quali Fidel si è espresso ripetutamente e con vigore, lanciando campagne di correzione e di bonifica. Fenomeni che non offuscano, però, la realtà di un modello di paese e di società che ha ispirato milioni di uomini in America Latina e nel mondo, che ha riacceso una fiammella minacciata dall'uragano del degrado capitalista e della protervia imperialista: la fiamma della rivoluzione, cioè della fine dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dei diritti basilari acquisiti, della protezione dell'ambiente e del progresso ecologico, della sovranità nazionale e dell'autodeterminazione. Rivoluzione che resta la necessità imprescindibile per la sopravvivenza delle specie.

E se gli Usa non continuassero a stringere d'assedio e a tentare con mille forme e mille infiltrati di riportare Cuba alla condizione di casinò e casino de pescecani statunitensi, probabilmente avrebbero soddisfazione anche quei grilli parlanti che, dall'alto della nostra magnifica, trasparente, onesta e partecipativa democrazia, reclamano un maggiore pluralismo per Cuba e la stigmatizzano perché non è il paradiso terrestre. Renderemo onore ad uno dei più grandi statisti del nostro tempo, e ce ne avvantaggeremo, seguendone la produzione teorica e giornalistica e, soprattutto, continuando a stare a fianco del suo popolo e, nello specifico, a batterci per la liberazione dei cinque esponenti di questo popolo che da un decennio, scandalosamente, sono rinchiusi illegittimamente in un carcere Usa, solo per aver denunciato alle autorità statunitensi i piani terroristici della mafia cubana di Miami. Di quella Miami nella quale passeggiano, liberi e protetti, terroristi e serial killer confessi del rango di Posada Carriles e Orlando Bosch.

Saremo all'altezza di quanto i cubani e le forze di liberazione in tutto il mondo si aspettano da noi mantenendo il nostro impegno la dove ci siamo associati per questo scopo. È anche il modo per dire grazie a Fidel.




Pagina inviata da CBJCM — NA — Notizie dalla Patria Grande
(21 febbraio 2008)


Cuba. Una identità in movimento

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