Cuba

Una identità in movimento


I sedici anni di Teté

Adys M. Cupull Reyes


"Dal Che, tutti dobbiamo imparare", dice Delsa Puebla Viltres, oggi Generale delle nostre forze armate Rivoluzionarie. Conosciuta come Teté Puebla, è una donna integra, austera, modesta, dal linguaggio franco e chiaro, sempre a difesa della tenerezza e della fedeltà. Nel suo sguardo e nei suoi atti c'è la luce limpida che deriva dalla scuola cominciata con El Moncada e proseguita sulla Sierra. Conobbe Fidel nel giugno del 1957 e, nell'agosto dello stesso anno, incontrò il Che presso Palma Mocha. Aveva 16 anni, ed era già nell'Esercito Ribelle sulla Sierra Maestra.

In un'intervista concessa per il libro Che entre nosotros (Il Che tra di noi), racconta:

"In dicembre tornai a unirmi alla colonna di Fidel e non lo rividi più fino alla tappa dell'offensiva. Una mattina, quando non era ancora l'alba, l'aviazione cominciò a bombardare. Avevamo vari malati e feriti e il Che non entrò nei rifugi fino a quando tutti non furono al riparo... durante la battaglia del Jigúe, molte guardie caddero prigioniere o furono ferite. Egli mi ordinò di andare a cercarle e mi disse che dovevo affidarle alla Croce Rossa Internazionale, che l'esercito della tirannia non voleva accettare una tregua, perché questo avrebbe significato ammettere la sconfitta, e che era necessario che portassi un messaggio ai capi nemici alle Vegas de Jibacoa. Mi spiegò che avrebbero potuto accadermi tre cose: che mi ammazzassero, che mi facessero prigioniera, e mi torturassero, o che accettassero la tregua e mi rispettassero. Mi chiese di pensare alla più grave delle ipotesi prima di accettare. Gli risposi che ero disposta a compiere quella missione. Mi disse: 'Bene, Teté, lava la tua uniforme, stirala, devi andare assolutamente carina e con il tuo braccialetto del 26 Luglio, che non devi farti togliere'. La mattina del giorno successivo il Che venne dove io stavo dormendo e mi disse: 'Teté è arrivata l'ora'. Mi ero già preparata il tè e un mulo pronto per partire. Mi avvertì che forse mi avrebbero voluto portare a Bayamo, ma che non avrei dovuto accettarlo. Mi spiegò cosa rispondere a ogni possibile domanda o interrogatorio e, se ne avessi avuto l'opportunità, di osservare le trincee, dove erano i cannoni, la quantità di uomini raccogliendo tutte le informazioni possibili. Come addio mi disse: 'Teté non tradire'. Queste parole mi provocarono un dolore molto grande e cominciai a piangere, egli mi abbracciò forte, con molta tenerezza e affetto e disse: 'No, no Teté, non è questo che intendevo dirti'. Non dimenticai questo episodio e quando portai a termine la missione lo dissi a Celia Sánchez, che rise spiegandomi che il Che mi aveva detto così per darmi forza e farmi coraggio".


L'incontro con l'esercito nemico

"Mi preparai molto bene, e uscii con il mulo, ma i bombardamenti erano molto intensi, dovetti rifugiarmi in diverse occasioni e, in una di esse, il mulo si sciolse e dallo spavento si perse. Dovetti continuare a piedi, osservando i giri degli aerei per potere avanzare. Arrivai all'accampamento nemico dopo mezzogiorno. Dovetti aspettare il ritorno da Bayamo di Merob Sosa, il capo di quella zona. Le guardie mi trattarono con rispetto, mi offrirono il pranzo e volevano portarmi a Bayamo, mi domandavano che cosa ci facesse una ragazza tanto giovane e bella sulla Sierra Maestra. Merob Sosa lesse la lettera... e accettò la tregua. Ritornai al nostro accampamento verso le sei del pomeriggio; non so per quanti metri mi portarono sulle spalle i miei compagni. L'allegria era molta, perché avevano pensato al peggio. Consegnai al Che il messaggio e analizzò la situazione assieme a Fidel. Il Che mi chiamò e mi spiegò che dovevo riandare con la risposta, e partii nuovamente. Arrivai alle linee nemiche verso le dieci di sera. Il capitano lesse il messaggio e ordinò di prepararmi un letto. Mi coricai ma, mentre i capi dormivano, mi alzai e andai a conversare con i soldati di guardia, cercando di ottenere le informazioni che mi erano state richieste. In quel modo venni a sapere dove erano le trincee, il mortaio e altre cose. Quando il Che arrivò alle Vegas de Jibacoa con le nostre truppe e con i prigionieri feriti, ci fu una grande emozione, perché si ritrovarono fratelli e zii uno in uno e l'altro nell'altro esercito. Il Che accettò l'invito delle guardie di salire su un elicottero, di mangiare e di fumare sigari. Dopo si formò il Plotone delle Marianas Grajales e sono stata una delle sue donne capitano, l'altra era Isabel Rielo".


Una nuova responsabilità

"Al trionfo della Rivoluzione mi diedero l'incarico di prendermi cura delle vittime della guerra nella provincia di Oriente. Avevo la direttiva precisa di usare lo stesso trattamento per tutti, senza tener conto se erano figli di ribelli, membri della dittatura, dei suoi organismi repressivi, o dei contadini. Accudimmo tutti i bambini orfani. Il Che si preoccupò per loro e venne a Yara, per sapere come mi sentivo, che problemi c'erano. Gli diedi spiegazioni dettagliate e quando l'informai che alcuni sacerdoti di Oriente mi stavano aiutando, rise e mi domandò: 'Teté, cosa hai fatto per convincerli?' Adottai molti di questi bambini come figli miei e tutti mi cercano. Il giorno del mio compleanno, il 9 dicembre scorso, mi hanno organizzato una festa a sorpresa. Sono già professionisti, vivono in posti diversi, ma quel giorno si sono riuniti insieme ai miei tre figli. È stata una festa molto bella. Alcuni mi chiamano madre, altri, mamma, mimi, mima, mami, e i loro figli mi dicono nonna. Quando mi sono ammalata sono venuti tutti a trovarmi e sono quasi morta soffocata, perché non mi lasciavano respirare. Vanno d'accordo e non c'è distinzione tra loro, tutti sono dentro la Rivoluzione e questa per me è la felicità maggiore".


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Webmaster: Carlo NobiliAntropologo americanista, Roma, Italia

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