Cuba

Una identità in movimento


La schiavitù a Cuba: brevi cenni storici e demografici (Parte III)

Carlo Nobili


In realtà, il negro di casa (cuciniere, domestico, cocchiere, balia), ricevendo direttamente l'influenza del bianco, poteva godere di una vita quotidiana e sociale certamente ben diversa da quella dell'ingenio o del cafetal (piantagione di caffè).

Questo stato di cose lo portava ad assumere atteggiamenti da bianco, in altre parole si "blanqueaba", cominciava ad apprendere i comportamenti più consoni alle occasioni e la sua capacità camaleontica completava poi il processo di "blanqueamento", facendolo ancora più esigente, in fatto di cortesia ed educazione, dello stesso padrone bianco.

Ricevendo un trattamento migliore, non era raro che coloro che servivano in casa potessero provar addirittura lealtà e affetto per i padroni e i loro figli.

Questo è ciò che scrive sulla negra domestica lo studioso cubano José Luciano Franco Ferrán in La presencia negra en el Nuevo Mundo:

    Il pranzo. Incisione di J. Debret ©  Bibliothèque Nationale, Parigi"Cuando el negro pasa a vivir a la ciudad, el amo blanco ha introducido en el servicio de su hogar urbano, sobre todo, a las esclavas, cuya atracción no resiste. La mujer negra, a la edad madura, se convertirá en aya y ama, en gobernanta de la familia y educadora de los niños. Poseyendo una inteligencia despierta y libre ya de su inferior complejo cultural, con una gran permeabilidad, adopta la cultura española, habla excelentemente el castellano, es católica, sabe canciones de cuna y leyendas de aparecidos, es diestra en el arte culinario, minuciosa y ahorrativa, un magnífico ejemplar de dirigente doméstica. Le son delegados todos las poderes de la señora sobre, enseñanza religiosa de esta y de los hijos, en fin, es una matrona"que todas respetan y acatan".

Un'altra categoria era costituita a Cuba dagli schiavi urbani, i quali erano dotati del massimo grado di mobilità e del minimo controllo fra tutti gli schiavi, avevano condizioni di vita che consentivano loro tempi di riposo, di riflessione e attività autonome maggiori, erano esentati dai lavori più pesanti, erano nutriti e vestiti in modo migliore rispetto agli altri; ha scritto Silvio Marconi in Congo Lucumí. Appunti per un approccio sincretico al sincretismo culturale:

    "In città (e a Cuba, essenzialmente a La Habana, il più grande porto di tutta l'America coloniale spagnola) vi erano schiavi neri che svolgevano ruoli molto differenti: domestici, cocchieri, artigiani, prostitute (che versavano la gran parte del proprio guadagno ai loro padroni), fattorini, scaricatori di porto, manovali impegnati alla lastricatura delle strade o alla costruzione delle fortificazioni, ecc.; molti di questi ruoli si svolgevano a diretto contatto con i propri padroni, dunque anche con gli oggetti della vita quotidiana e con quelli di culto degli stessi, mentre altri si svolgevano in un tessuto urbano ricco di riferimenti iconografici potenzialmente utili per i processi sincretici.[…] in molti casi, gli schiavi urbani potevano guadagnare somme di denaro, sia in accordo coi propri padroni (era il caso delle prostitute), sia esercitando attività autonome, ad esempio artigianali, nel proprio tempo libero; questo fatto consentiva loro di migliorare ulteriormente le proprie possibilità di alimentazione e di vita, talvolta di imparare a leggere e scrivere, talaltra di comperare la propria libertà; vi era poi la possibilità di contatti ben più numerosi sia con i Neri liberti e liberi, sia con coloro, come i marinai della flotta, che erano portatori di elementi culturali relativi alle altre terre (e talvolta alla stessa Africa)".

Venivano invece chiamati bozales gli schiavi che ancora non parlavano lo spagnolo, in quanto appena importati dall'Africa.

Nelle Ordenanzas de la Española del 1528 si legge:

    "Esclavo bozal es aquel que hubiera menos de un año que vino a esta isla de Cabo Verde o Guinea, salvo si tal esclavo fuere ladino cuando de allí viniere, que haya estado algún tiempo conocido en Cabo Verde y en Santomé y que en todos los demás casos que sean cerrados de la dicha habla, estando en esta isla más de un año, sean tenidos por ladinos".

Essi non potevano acquistare la libertà o iscriversi fra i coartados, se non dopo otto anni dal loro arrivo a Cuba.

Esteban Montejo in Biografía de un cimarrón dice di loro:

    "Li chiamavano bozales, tanto per dirgli qualcosa e perché parlavano nella lingua del loro paese. Parlavano in modo diverso, questo era tutto. Io non li consideravo così, come dei bozales. Al contrario, li rispettavo. Un negro Congo o un Lucumí ne sapeva di medicina più di un medico. Persino più di un medico cinese! Sapevano anche quando una persona stava per morire. Questa parola, bozal, era sbagliata. Ora non si sente più perché, a poco a poco, i negri africani sono scomparsi tutti. Se ce n'è ancora qualcuno, deve essere venti volte più vecchio di me".

Bozal (o bozalón) è a Cuba sinonimo di "selvaggio" e gli Africani appena giunti sull'isola erano chiamati con disprezzo in questo modo poiché parlavano come se avessero una museruola (spagn. bozal, museruola).

Molti bozales diventavano cimarrones e nel periodo che va dal 1831 al 1854 ne furono catturati 339 su un totale di 8.645.

BOZALES TRA I CIMARRONES CATTURATI NEL PERIODO 1831-1854

Periodo

Totale dei catturati

Bozales

%

1831-1839

3.514

241

6,85

1840-1849

3.906

76

1,94

1850-1854

1.225

22

1,79

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