Cuba

Una identità in movimento

Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 2


Voce con speranza

Io

Chitarra

La mia patria è dolce di fuori...

Sudore e scudiscio

Quando son venuto al mondo...

Palma sola

Il nero mare

Oh Rosa melanconica...

Arrivo


Voce con speranza

Una canzone gioiosa naviga in lontananza
Tu stai ardendo, Spagna! Ardendo
con grandi unghie rosse incendiate;
e proiettili matricidi
petto e bronzo opponendo,
e in occhio, bocca, carne di traditori conficcando
le rosse grandi unghie incendiate.
Alta, tu dal basso provieni,
a radici vulcaniche avvinghiata;
lenti, azzurri cavi con cui la tua voce sostieni,
la tua voce dal basso, forte, di pastore e poeta.
Le tue raffiche, i tuoi fulmini, le tue violente
gole si raggruppano attorno all'orecchio del mondo;
con muscolo petrigno tu sforzi
il lucchetto che rinserra le messi del mondo.
Esci fuori di te; levi
la voce, e t'innalzi
insanguinata, dissanguata, impazzita,
e sopra la distesa impazzita,
più pura t'innalzi, t'innalzi!
Vedo le tue vene
che si svuotano, Spagna, e tornano sempre a riempirsi;
vedo i tuoi feriti sorridenti;
i tuoi morti sepolti in piccoli campi di sogno;
i tuoi aspri battaglioni,
composti di cantinieri, stallieri e braccianti.



Io

Io,
figlio d'America,
figlio, di te e dell'Africa,
schiavo ieri di capi bianchi padroni di colleriche fruste;
schiavo oggi del rosso yankee, vorace padrone dello zucchero;
io che diguazzo nell'oscuro sangue in cui si bagnano le Antille;
soffocato nel fumo agroverde dei canneti;
sepolto nel fango di tutte le galere;
circondato giorno e notte d'insaziabili baionette;
smarrito nelle foreste ululanti delle isole crocifisse alla croce del Tropico;
io, figlio d'America,
corro verso di te, muoio per te.
Io, che amo la libertà con semplice amore,
come si ama un bambino, il sole, o l'albero piantato davanti
alla nostra casa;
io che ho la voce incoronata d'aspre selve millenarie,
e il cuore trepidante di tamburi,
e gli occhi perduti all'orizzonte,
e i denti bianchi, robusti e semplici per mozzare radici
e mordere frutti elementari;
e le labbra carnose e brucianti
per bere l'acqua dei fiumi che m'hanno visto nascere,
e umido il torso del sudore salato e forte
degli ansimanti scaricatori dei porti,
degli spaccapietre delle lunghe strade,
dei piantatori di caffè e dei forzati che lavorano sconsolatamente,
inutilmente nelle galere solo perché hanno voluto cessare d'essere fantasmi;
io vi grido con voce d'uomo libero che sarò con voi, compagni;
che marcerò al passo con voi,
semplice e allegro,
puro, tranquillo e forte,
con la mia testa crespa e il mio petto bruno,
per cambiare insieme i nastri trepidanti delle vostre mitragliatrici,
e per trascinarmi, col fiato sospeso,
là, accanto a voi,
là, dove ora voi siete, dove saremo,
a fabbricare, sotto un cielo ardente crivellato dalla mitraglia,
un'altra vita semplice e vasta,
limpida, semplice e vasta,
alta, limpida, semplice e vasta.
rimbombante della nostra voce inevitabile!
Con voi, braccia conquistatrici
ieri, e oggi impeto per sgominare frontiere;
mani per afferrare stelle splendenti e remote,
per grattare cieli scossi e profondi;
per unire in un solo mazzo le isole del Mar del Sud e le isole del Mar dei Caraibi;
per mescolare in una sola pasta ribollente lo scoglio e l'acqua di tutti gli oceani;
per portare in alto, indorata dal sole di tutte le albe;
per portare in alto, alimentata dal sole di tutti i meridiani;
per portare in alto, stillando sangue dall'equatore e dai poli;
per portare in alto come una lingua che non tace, che mai tacerà,
per portare in alto la barbara, severa, rossa, spietata,
calorosa, tempestosa, rumorosa,
per portare in alto la fiamma livellatrice e falciatrice della Rivoluzione!
Con voi, stalliere, e cantiniere!
Con te, si, minatore!
Con voi, avanzando,
sparando e uccidendo!
Oh, stalliere, minatore, cantiniere,
tutti uniti qui, cantando!
(Una canzone in coro).
Tutti noi la strada conosciamo;
già sono puliti i fucili;
e sono pronte le nostre braccia;
avanti, marciamo!
Non importa alla fine morire,
perché morire non è gran cosa;
brutto è l'essere libero ma in catene,
brutto è star libero ma come schiavo!
C'è chi muore nel proprio letto,
per dodici mesi agonizzando,
ed altri che muoiono cantando
con dieci palle dentro il petto!
Tutti noi la strada conosciamo;
già sono puliti i fucili;
e sono all'erta le nostre braccia:
avanti, marciamo!
Così dobbiamo marciare,
severamente marciare, avvolti nel giorno
che nasce. Le nostre rudi scarpe, risuonando,
diranno al tremulo bosco: "è il futuro che passa!"
Ci perderemo in lontananza... Scomparirà la oscura massa
di uomini, ma all'orizzonte, ancora
come in sogno, si udrà la nostra compatta voce che vibra:
La strada conosciamo...
Pulite i fucili...
...E sono all'erta le nostre braccia...
E la canzone gioiosa navigherà come una nube sulla rossa lontananza!



Chitarra

Distesa nel primo albore,
la salda chitarra aspetta;
voce di profondo legno
inconsolata.
La sua cintura sonora,
su cui la gente sospira,
gravida di danza, stira
la carne soda.
Brucia la chitarra sola,
mentre s'estingue la luna;
brucia sciolta della schiava
sua veste a coda.
Lasciato ha l'ebbro nell'auto
e il cabaret tenebroso,
dove si muore di freddo,
notte su notte;
alzato ha la testa fina,
universale e cubana,
senz'oppio, né marijuana,
né cocaina.
Venga la vecchia chitarra,
ancora nuova alla pena
a cui l'aspetta l'amico
che non la lascia!
Sempre alta, imbaldanzita,
rechi pure il riso e il pianto;
ficchi le unghie d'amianto
dentro la vita.
Prendila, su, chitarrista,
sciacquagli d'alcool la bocca,
e in questa chitarra suona
il son completo.
Il son dell'amore maturo,
il son completo;
quello del chiaro futuro,
il son completo;
quello del piede sul muro,
il son completo...
Prendila, su, chitarrista,
sciacquagli d'alcool la bocca,
e in questa chitarra suona
il son completo.



La mia patria è dolce di fuori...

La mia patria è dolce di fuori,
e molto amara di dentro;
la mia patria è dolce di fuori,
con la verde sua primavera,
con la verde sua primavera,
e un sole di fiele nel centro.
Che cielo di azzurro muto
guarda freddo il tuo dolore!
Che cielo di azzurro muto,
oh, Cuba, quel che Dio t'ha dato,
oh, Cuba, quel che Dio t'ha dato,
pur tanto azzurro il tuo cielo!
Un usignolo di legno
mi portò sul becco il canto;
un usignolo di legno.
Ahi, Cuba, se ti dicessi,
prendila, su, chitarrista,
sciacquagli d'alcool la bocca,
e in questa chitarra suona
il son completo.
Il son dell'amore maturo,
il son completo;
quello del chiaro futuro,
il son completo;
quello del piede sul muro,
il son completo...
Prendila, su, chitarrista,
sciacquagli d'alcool la bocca,
e in questa chitarra suona
il son completo.
La mia patria è dolce di fuori...
La mia patria è dolce di fuori,
e molto amara di dentro;
la mia patria è dolce di fuori,
con la verde sua primavera,
con la verde sua primavera,
e un sole di fiele nel centro.
Che cielo di azzurro muto
guarda freddo il tuo dolore!
Che cielo di azzurro muto,
oh, Cuba, quel che Dio t'ha dato,
oh, Cuba, quel che Dio t'ha dato,
pur tanto azzurro il tuo cielo!
Un usignolo di legno
mi portò sul becco il canto;
un usignolo di legno.
Ahi, Cuba, se ti dicessi,
io che ti conosco tanto,
ahi, Cuba, se ti dicessi,
ch'è di sangue il tuo palmeto,
ch'è di sangue il tuo palmeto.
e che il tuo mare è di pianto!
Sotto il tuo riso discreto,
io che ti conosco tanto,
guardo il sangue e guardo il pianto,
sotto il tuo riso discreto.
Sangue e pianto,
sotto il tuo riso discreto;
sangue e pianto,
sotto il tuo riso discreto.
Sangue e pianto.
L'abitante dell'interno,
in un buco sta rintanato,
morto senz'essere nato,
l'abitante dell'interno.
E l'uomo della città,
ahi, Cuba, è proprio un pezzente:
gira affamato e senza niente,
chiedendo la carità,
sebbene porti il cappello
e balli pure in società.
(Lo dico nel mio son completo
perché è la pura verità).
Oggi yankee, ieri spagnola,
sissignore,
la terra che ci toccò,
sempre al povero gli capitò,
yankee oggi, ieri spagnola,
come no!
Com'è sola la terra sola,
la terra che ci toccò!
La mano che non si nega
si deve stringere d'intesa;
la mano che non si nega,
gialla, bianca, rossa o negra,
gialla, bianca, rossa o negra,
con la nostra mano protesa.
Un marinaio americano,
già,
nel ristorante del porto,
già,
un marinaio americano
su me volle alzare la mano,
su me volle alzare la mano,
però là ci restò morto,
già,
però là ci restò morto,
già,
però là ci restò morto
il marinaio americano
che nel ristorante del porto
su me volle alzare la mano,
già!



Sudore e scudiscio

Scudiscio,
sudore e scudiscio.
Presto il sole s'è svegliato,
e ha veduto il negro scalzo.
Nudo il suo corpo piagato,
là sopra il campo.
Scudiscio,
sudore e scudiscio.
Il vento passò gridando:
— Che fiore nero sulle mani!
Il sangue gli disse: andiamo!
E lui disse al sangue: andiamo!
Mosse nel suo sangue, scalzo.
Il canneto, trepidante,
si spalancò al suo passaggio.
Poi, il cielo sente una voce
e sotto il cielo, lo schiavo
sporco di sangue del padrone.
Scudiscio,
sudore e scudiscio,
sporco di sangue del padrone;
scudiscio,
sudore e scudiscio,
sporco di sangue del padrone,
sporco di sangue del padrone.



Quando son venuto al mondo...

Quando son venuto al mondo,
nessuno mi stava aspettando;
così il mio dolore profondo
mi si allevia camminando,
perché quando son venuto al mondo,
ti dico, nessuno mi stava aspettando.
Guardo gli uomini nascere,
guardo gli uomini passare;
bisogna camminare,
bisogna guardar per vedere,
bisogna camminare.
Altri piangono, e io me la rido,
perché il riso è tutta salute:
lancia della mia potenza,
corazza della mia virtù.
Altri piangono, io me la rido,
poiché il riso è tutta salute.
Cammino con i miei piedi,
senza stampella o bastone,
e la mia voce intera
e la voce intera del sole.
Cammino con i miei piedi,
senza stampella o bastone.
Con l'anima in carne viva,
qua sotto, sogno e lavoro;
già sarà quello di sotto sopra,
quando quello di sopra sarà sotto.
Con l'anima in carne viva,
qua sotto, sogno e lavoro.
C'è gente che mi vuoi male,
perché sono un poveraccio;
ma quand'essi moriranno
sarò al loro funerale.
Così mi vogliono male,
perché sono un poveraccio.
Guardo gli uomini nascere,
guardo gli uomini passare;
bisogna camminare,
bisogna guardar per vedere,
bisogna camminare.
Quando son venuto al mondo,
ti dico,
nessuno mi stava aspettando;
così il mio dolore profondo,
ti dico,
mi si allevia camminando,
ti dico
poiché quando son venuto al mondo,
ti dico,
nessuno mi stava aspettando.



Palma sola

La palma sta nel patio,
è nata sola;
è cresciuta senza che la vedessi,
è cresciuta sola;
sotto la luna e il sole,
vive sola.
Con il suo lungo corpo saldo,
palma sola,
sola nel patio recinto,
sempre sola,
guardiana del tramonto,
sogna sola.
La palma sola che sogna,
palma sola,
che va libera al vento,
libera e sola,
sciolta da radici e terra,
sciolta e sola,
cacciatrice delle nubi,
palma sola,
palma sola,
sola.
Il nero mare.
La notte livida sogna
sopra il mare;
la voce dei pescatori
bagnata nel mare;
esce la luna grondante
dal mare.
Il nero mare.
In mezzo alla notte un son,
sta arrivando nel golfo;
in mezzo alla notte un son.
Le barche lo vedono passare,
in mezzo alla notte un son,
incendiando l'acqua fredda.
In mezzo alla notte un son,
in mezzo alla notte un son,
in mezzo alla notte un son...



Il nero mare

— Ahi, mulatta d'oro fino,
ahi, mia mulatta
d'oro e d'argento,
con rosolacci e zagare,
ai piedi del mare affamato e virile,
ai piedi del mare!



Oh Rosa melanconica...

L'anima vola e vola
cercandoti lontano,
oh, Rosa melanconica,
rosa del mio ricordo.
Guardo poco a poco l'alba
la campagna inumidisce,
e il giorno è come un bimbo
che si sveglia nel cielo,
oh, Rosa melanconica,
carichi gli occhi d'ombra,
dal mio povero lenzuolo
tocco il tuo solido corpo.
Quando già alto il sole
arde col suo alto fuoco,
quando la sera cade
dal ponente disfatto,
io nel mio lontano desco
il tuo ignoto pane osservo.
E nella notte gravida
d'appassionato silenzio,
oh, Rosa melanconica,
rosa del mio ricordo,
dorata, viva e umida,
tu discendi dal tetto,
mi prendi la mano fredda
e resti lì a guardarmi.
Io chiudo allora gli occhi,
ma pur sempre ti vedo,
là piantata, a fissare
il tuo sguardo sul mio petto,
lungo sguardo immobile,
come un pugnale di sogno.



Arrivo

Qui siamo arrivati!
La parola ci viene umida dai boschi,
e un sole energico ci spunta tra le vene,
Il pugno è forte,
e regge il remo.
Nell'occhio profondo dormono palme esorbitanti,
e il grido ci esce come una goccia d'oro puro.
Il nostro piede,
duro e largo,
schiaccia polvere nelle strade abbandonate
e troppo anguste per le nostre schiere.
Sappiamo dove nascono le acque,
e le amiamo perché hanno sospinto le nostre canoe sotto
i cieli rossi.
Il nostro canto
è come un muscolo sotto la pelle dell'anima,
il nostro semplice canto.
Portiamo il fumo nel mattino,
e il fuoco sopra la notte,
e il coltello, come un duro peno di luna,
adatto alle pelli barbare;
portiamo i caimani nel fango,
e l'arco che scocca le nostre ansie,
e la cintura del Tropico,
e lo spirito limpido.
Compagni, qui siamo arrivati!
La città ci attende con i suoi palazzi, tenui
come alveari d'api silvestri;
le sue strade sono secche come i fiumi quando in montagna non piove,
e le sue case ci guardano con gli occhi pavidi delle finestre.
Gli uomini antichi ci daranno latte e miele,
e c'incoroneranno di foglie verdi.
Compagni, qui siamo arrivati!
Sotto il sole
la nostra pelle sudata rispecchierà i volti umidi dei vinti,
e nella notte, mentre gli astri arderanno sulla punta delle
nostre fiamme,
la nostra risata si desterà sopra i fiumi e gli uccelli!




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Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia

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